Da “Il Fisco” n. 37/2005
“Il
principio era già insito nell’ordinamento tributario”.
L’Agenzia
delle Entrate conferma la riportabilità delle perdite pregresse nella
trasformazione di società di capitali in società di persone
Di
Alberto Buscema
Dottore
Commercialista in Padova
Introduzione
In presenza di perdite fiscali,
l’operazione di trasformazione regressiva, pur essendo di semplice
attuazione, era attuata solo da pochi impavidi; il rischio di vedere
vanificato l'utilizzo delle perdite era piuttosto elevato.
Certamente più saggio era evitare la
modifica dell'"abito" tecnico e continuare ad usufruire
della perdita all'interno della società di capitali, evitando defatiganti
contenziosi con il fisco.
L’incertezza era generata
dall’assenza di espliciti riferimenti normativi alla possibilità o al
divieto di utilizzo delle perdite; quale conseguenza aveva preso vigore
una contrapposizione di vedute in ambito interpretativo, dove la
sensibilità di ciascun operatore è inevitabilmente diversa.
Qui si fronteggiavano sostanzialmente
due tesi: quella della maggioranza della dottrina che, attraverso vari
principi del sistema, sosteneva la riportabilità delle perdite e quella
del ministero delle finanze che si era espressa con una risoluzione
ministeriale negando la fruibilità.
La “materia del contendere”
riguardava solo l’operazione di trasformazione “regressiva”, cioè
da società di capitali a società si persone, perché in quella “progressiva”,
da società di persone a società di capitali, non vi erano perdite da riportare all’interno dell’ente
per effetto del particolare meccanismo impositivo della trasparenza che
le imputa ai soci alla chiusura del periodo d’imposta.
Questo scenario di incertezza poteva
perdurare, a mio parere, solo fino all'introduzione del D.Lgs. n. 358/97.
In quel decreto, l’articolo 8, comma
1, lettere a) e b), disponeva l’integrazione degli articoli 8 e 102 del
vecchio Tuir (ora 8 e 84) con lo scopo di contrastare il riporto delle
perdite in caso di modifica rilevante della compagine sociale e
cambiamento dell’attività principale di fatto esercitata.
Era sembrato evidente allo
scrivente (in alcuni articoli pubblicati nelle pagine di questa Rivista e
in “Dialoghi di Diritto Tributario” pubblicati parecchio tempo fa), nei passaggi interpretativi che illustrerò di seguito,
che in quel testo vi erano, tra l’altro, importanti riferimenti
all’operazione di trasformazione regressiva e al conseguente riporto
delle perdite generate anteriormente all'operazione.
In particolare la disposizione impediva il riporto delle perdite solo
a determinate condizioni, essendo stata formulata con chiaro intento
antielusivo.
L’indicazione che se ne traeva era
che, se si voleva impedire il riporto delle perdite solo al verificarsi
di determinate condizioni, negli altri casi, fuori cioè da quelli espressamente previsti, esse fossero
liberamente usufruibili.
La seconda indicazione che si poteva
ricavare dalla lettura della disposizione riguardava il destino delle
perdite fiscali delle società di persone, fino ad allora regolate dal
solo meccanismo dell’imputazione ai soci con conseguente sottrazione di
queste dai rispettivi redditi: in particolari momenti della vita
societaria questo meccanismo era “derogato”, consentendo
l’imprigionamento delle perdite all’interno dell’ente.
L’evento in questione era
rappresentato proprio dalla trasformazione di società di capitali in
società di persone, un’operazione che, mantenendo in vita lo stesso
soggetto giuridico, consentiva il mutamento dell’abito legale.
Queste nuove indicazioni, pur di
natura interpretativa ma, a mio avviso, le uniche che consentissero di
attribuire un senso ad alcuni momenti della disposizione, erano
fondamentali nel confermare il principio, già implicito nel sistema, di
usufuibilità delle perdite pregresse in caso di trasformazione regressiva.
E, per questa via, dimostravano l’infondatezza della diversa opinione
espressa nella Risoluzione Ministeriale del 19 dicembre 1994 n.
44130/51/1, che negava il riporto delle perdite fiscali.
Ma andiamo per gradi e ripercorriamo
il ragionamento che illustra questa conclusione.
Il riporto delle perdite dopo il
D.Lgs. 358/97
Per comprendere se il riporto delle
perdite di una società di persone sia consentito, bisogna far riferimento
all'articolo 8 del Tuir che, tra l'altro, spiega in quale modo vengono
utilizzate le perdite delle società di persone disponendo che esse
vengano imputate ai soci.
Lo stesso articolo, in seguito alla
modifica introdotta dal D.Lgs. n. 358/97, dichiara applicabili le
disposizioni dell'articolo 102, comma 1-ter, (ora 84, comma 3) formulate
per le società di capitali.
Esse così dispongono:
“Le disposizioni del comma 1 (che
stabiliscono il riporto delle perdite nei periodi d'imposta successivi
NDA) non si applicano nel caso in cui la maggioranza delle
partecipazioni aventi diritto di voto nelle assemblee ordinarie del
soggetto che riporta le perdite venga trasferita o comunque acquisita da
terzi, anche a titolo temporaneo e, inoltre, venga modificata l’attività
principale in fatto esercitata nei periodi di imposta in cui le perdite
sono state realizzate. La modifica dell’attività assume rilevanza se
interviene nel periodo d’imposta in corso ovvero nei due successivi od
anteriori”.
La lettura di questo comma fa sorgere
il dubbio su come possa conciliarsi il meccanismo della trasparenza,
applicabile alle perdite delle società di persone, con i limiti al
riporto, riferiti alle società di capitali, operanti solo all'interno
della società.
Un altro aspetto della disposizione,
che appare inconciliabile con la struttura delle società personali, è
quello che, nell’elencare gli eventi che provocano l’azzeramento delle
perdite fiscali, fa riferimento al trasferimento delle partecipazioni
aventi diritto di voto nell’assemblea ordinaria, organo proprio
delle società di capitali e assente nelle società di persone.
Sembra difficile riferire alla
società di persone anche la disposizione secondo cui la modifica
dell’attività, congiuntamente al trasferimento della maggioranza delle
partecipazioni, deve avvenire, per pregiudicare il riporto delle perdite,
nel periodo d’imposta in corso al momento del trasferimento o nei due
successivi o anteriori.
La modifica quindi produce effetto se
interviene entro il primo o il secondo periodo d’imposta della società di
persone.
Sorge il dubbio che la disposizione
non possa funzionare per le società di persone; infatti, come può
verificarsi lo sbarramento al riporto delle perdite per due periodi
d’imposta se si ha l'accortezza di attendere la chiusura del primo e
modificare l’attività?
Per effetto del meccanismo della
trasparenza la chiusura del primo periodo d’imposta determinerebbe
l’imputazione delle perdite ai soci, fuoriuscendo dalla società.
Pertanto non vi sarebbero perdite
riportabili nel secondo periodo d’imposta.
Se ci si fermasse qui, a queste
considerazioni, la norma sembrerebbe "inutiliter data".
Tuttavia l'interprete non può e non
deve fermarsi di fronte a questa prima conclusione poichè appare
impensabile che il legislatore abbia formulato una norma senza senso.
Il significato di questa norma appare
chiaro se si pensa all’operazione di trasformazione di società di
capitali in società di persone, e quindi riferendo la norma ad una ex
società di capitali trasformata in società di persone.
Questo primo tentativo può spiegare
il riferimento all’assemblea ordinaria; ma resta ancora il dubbio sul
riporto delle perdite all’interno della trasformata.
Utilizzando la teoria delle “posizioni
quesite”, elaborata dal prof. Zizzo, si riesce a chiarire anche come
possa verificarsi il riporto delle perdite all’interno di una società di
persone.
Questo autore, dalla lettura dell’articolo 170 (122
nel vecchio Tuir), commi 3 e 4, nota che il legislatore salvaguarda le posizioni giuridiche già acquisite
dal soggetto prima della sua trasformazione.
E’ noto che anche il diritto di
riporto delle perdite è un diritto soggettivo e come tale, secondo questa
condivisibile teoria, resta acquisito dalla società trasformata per
essere utilizzato con le stesse modalità concesse alla trasformanda.
Insomma anche dopo la trasformazione
le perdite permangono all’interno della società fino alla loro completa
compensazione con i successivi redditi, come accade nelle società di
capitali; successivamente i nuovi redditi vengono imputati ai soci,
secondo i consueti meccanismi impositivi.
Trovato finalmente il senso della
disposizione, risulta evidente che se il legislatore, con il D.Lgs. n.
358/97, ha impedito il riporto delle perdite solo al verificarsi di
determinate condizioni, significa che in loro assenza le perdite sono liberamente
usufruibili.
Dall'introduzione dell'Ires al parere
dell'Agenzia delle Entrate
Questo assetto era raggiungibile già
prima dell’entrata in vigore dell’Ires; successivamente la riforma
fiscale ha introdotto l’istituto della trasparenza fiscale delle società
di capitali, prevedendo che il passaggio da soggetto Ires a soggetto
trasparente fosse attuato proprio nel modo appena illustrato.
Infatti l’articolo 7 del D.M. 23 aprile 2004,
che contiene le “Disposizioni applicative del regime di tassazione per
trasparenza nell’ambito delle società
di capitali, di cui agli artt. 115 e 116 del testo unico delle
imposte sui redditi”, così dispone:
“Le perdite fiscali … relative ai periodi d’imposta antecedenti
all’opzione si computano in diminuzione del reddito della società
partecipata nei limiti previsti dall’art. 84 del testo unico.”
Questo passaggio risulta applicabile
in via analogica al caso in esame di trasformazione regressiva,
considerate le contigue condizioni applicative.
L’operazione di trasformazione non
può essere considerata diversa solo perché si passa da una società di
capitali ad una di persone: come abbiamo già visto, l’effetto di questa
operazione non è l’estinzione di un soggetto e la nascita di uno nuovo,
ma semplicemente la modifica della veste giuridica dello stesso soggetto.
Il legislatore, nella trasparenza per
opzione, si è preoccupato di regolamentare il delicato passaggio da un
sistema impositivo, l’Ires, ad un altro, Irpef.
Lo stesso passaggio che impegna un
ente che si trasforma da società
di capitali a società di persone.
La conferma di questa interpretazione
viene dall’Agenzia delle Entrate che, con la Risoluzione n. 60/E del 16
maggio 2005, risponde ad un interpello proprio sul tema del riporto delle
perdite in ipotesi di trasformazione regressiva.
L’Agenzia delle Entrate, nel
riconoscere la ricostruzione sin qui illustrata, precisa che il
principio, secondo il quale le perdite fiscali relative ai periodi
d’imposta antecedenti all’opzione si computano in diminuzione del reddito
della società partecipata – contenuto nell’art. 7 del D.M. 23 aprile 2004
– “può considerarsi una norma ricognitiva di un principio già insito
nell’ordinamento tributario…”.
E prosegue:
“Occorre evidenziare che, per gli
effetti fiscali che produce, la trasformazione di una società di capitali
in una società di persone può considerarsi equivalente alla situazione
che si verifica per effetto
dell’esercizio dell’opzione, di cui all’art. 115 del tuir, da parte di
una società di capitali: il cambio di regime impositivo, nel primo caso,
è la conseguenza fisiologica dell’adozione di una nuova veste societaria;
nel secondo, un’opportunità concessa dal legislatore della riforma alle
società di capitali che, pur non spogliandosi della personalità giuridica di cui sono
dotate, risultano comunque in possesso di particolari requisiti.”
Inoltre l’Agenzia delle entrate
conclude per il riporto delle perdite pregresse in capo alla trasformata,
confermando che non vi è l’imputazione ai soci.
Conclusioni
Finalmente, dopo anni di difficili
esercizi interpretativi, si è giunti a riconoscere che non vi sono
divieti al riporto delle perdite in caso di trasformazione regressiva.
In fondo se il soggetto che riporta
le perdite è il medesimo non si sarebbe compresa una ricostruzione
diversa, perchè la capacità contributiva espressa non può essere
compromessa dal cambio di meccanismo impositivo, dall’Ires (o Irpeg)
all’Irpef.
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