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Da “Dialoghi di diritto tributario” n. 12/2005

 

 

 

Le innovazioni del decreto correttivo in tema di “cointeressenza propria”

 

Di Alberto Buscema

Dottore Commercialista in Padova

 

 

Il D.Lgs. approvato il 18 novembre 2005 dal Consiglio dei Ministri pone fine a diverse ambiguità normative contenute nel Tuir “post-riforma”, anche per quanto riguarda l’attrazione di associazioni in partecipazione e contratti di  cointeressenza al regime della pex.

Nell’attuazione della riforma fiscale si era infatti decisa, l’assimilazione degli utili provenienti dai contratti di associazione in partecipazione, in cui l’associante è un soggetto Ires, agli utili distribuiti dai soggetti Ires.

In particolare le disposizioni che quantificano la base imponibile per gli utili derivanti da questi contratti, nonché il regime delle ritenute d’imposta su questi utili, ricalcano pedissequamente il trattamento riservato agli utili distribuiti dai soggetti Ires.

Insomma le associazioni in partecipazione in cui l’associante è un soggetto Ires, quando l’apporto non è di opera o servizio, sono assimilate alle azioni o quote di società di capitali, per cui l’utile distribuito non è considerato costo deducibile e per il percipiente non imprenditore concorre alla formazione del reddito nella misura del 40%, se da apporto qualificato, o è assoggettato a ritenuta d’imposta del 12,5%, se l’apporto non è qualificato.

Nella categoria dei redditi di capitale, la formulazione dell’articolo 44, comma 1, lettera f) del Tuir, assimila gli utili derivanti da associazioni in partecipazione a quelli derivanti dai contratti indicati nel primo comma dell’art. 2554 del codice civile.

Pertanto una lettura superficiale della disposizione, congiuntamente a quelle successive, che regolamentano la base imponibile, poteva portare ad accomunare il trattamento impositivo delle due fattispecie.

Per chiarire la questione si rende necessario comprendere gli istituti civilistici richiamati dall’art. 44, comma 1, lettera f), del Tuir e percorrere uno ad uno i passaggi che definiscono il trattamento impositivo di questi proventi.

Iniziamo l’analisi con la lettura degli articoli  2549 e 2554 del codice civile.

Il primo definisce l’associazione in partecipazione nel seguente modo:

Con il contratto di associazione in partecipazione l'associante attribuisce all'associato una partecipazione agli utili della sua impresa o di uno o più affari verso il corrispettivo di un determinato apporto”.

Il secondo così definisce il contratto di cointeressenza:

Le disposizioni degli articoli 2551 e 2552 si applicano anche al contratto di cointeressenza agli utili di un'impresa senza partecipazione alle perdite, e al contratto con il quale un contraente attribuisce la partecipazione agli utili e alle perdite della sua impresa, senza il corrispettivo di un determinato apporto.”

Come si vede, mentre nell’associazione in partecipazione l’apporto è un requisito essenziale del contratto, nell’ambito dei contratti di cointeressenza vi possono essere due forme diverse: in una c’è l’apporto, che viene remunerato con la partecipazione agli utili del cointeressante; nell’altra si partecipa a utili e perdite del cointeressante senza che vi sia alcun apporto.

Quindi può esservi un accordo di cointeressenza anche senza alcun apporto.

L’articolo 44, comma 1, lettera f) del Tuir, annovera tra i redditi di capitale, oltre agli utili derivanti da associazioni in partecipazione, quelli derivanti “…dai contratti indicati nel primo comma dell’art. 2554 del codice civile…” .

Per comprendere il trattamento fiscale degli utili derivanti da tali contratti si rende necessaria la lettura dell’articolo 47, comma 2 del Tuir, il quale così inizia:

Gli utili derivanti dai contratti di cui alla lettera f) dell’articolo 44 …”.

Tra questi vi sono indubbiamente i contratti di cointeressenza, poiché, come visto prima, sono ricompresi in quella lettera.

Tuttavia continuando nella lettura della disposizione si evince che l’assimilazione impositiva agli  utili distribuiti da soggetti Ires – che comporta una tassazione sul solo 40% dell’utile percepito - si configura solo “…qualora il valore dell’apporto sia superiore…” a determinati parametri.

Pertanto, tra i contratti di cointeressenza citati in quell’articolo, restano esclusi quelli nella forma “propria”, poiché, come detto, non prevedono alcun apporto.

Tra le disposizioni potenzialmente applicabili vi è l’articolo 27  del DPR 600/1973, nel quale, al comma 1, trovano collocazione i contratti di associazione in partecipazione “qualora il valore dell’apporto …” sia inferiore agli stessi parametri che abbiamo accennato sopra.

In questo caso i percipienti, persone fisiche non esercenti attività d’impresa commerciale, vengono assoggettati alla ritenuta d’imposta nella misura del 12,50%.

Gli utili derivanti dai contratti di cointeressenza propria, tuttavia, non trovano regolamentazione nemmeno in questa disposizione.

Ne risulta che, poiché, comunque, i redditi de qua sono compresi nell’articolo 44 del Tuir, sono applicabili le disposizioni dell’articolo 45, che dispone la determinazione del reddito di capitale.

In particolar modo trovano applicazione le disposizioni generali sulla quantificazione dei redditi di capitale, di cui al comma 1:

Il reddito di capitale è costituito dall’ammontare degli interessi, utili o altri proventi percepiti nel periodo d’imposta, senza alcuna deduzione”.

Insomma il reddito di capitale derivante dai contratti di cointeressenza propria risulterà concorrere al reddito complessivo del percipiente nella misura piena.

Dal punto di vista dell’impresa erogante si applica l’articolo 109, comma 9, lettera b), che permette la deduzione dell’utile erogato.

Infatti, anche qui, nel disporre l’indeducibilità, ci si riferisce ai “… contratti di associazione in partecipazione ed a quelli di cui all’articolo 2554 del codice civile, allorché sia previsto un apporto…”.

Se ne conclude per la perfetta simmetria del trattamento impositivo in capo all’erogante e al percipiente, poiché entrambi faranno concorrere nella misura intera il componente alla propria  categoria di reddito.

Dicevamo che il Decreto Legislativo recentemente approvato aiuta a chiarire questo percorso impositivo, dissipando le ambiguità del precedente testo di legge.

Infatti, l’articolo 2, comma 2, apporta modificazioni al comma 2 dell’articolo 47 del tuir, prevedendo che le parole “Gli utili derivanti dai contratti di cui alla lettera f) dell’art. 44” siano sostituite da “Le remunerazioni dei contratti di cui all’articolo 109, comma 9, lettera b).”

Il precedente testo induceva in errore proprio perché, citando i contratti di cui all’art. 44 lettera f), faceva riferimento anche ai contratti di cointeressenza propria, escludendoli “di fatto” qualche riga dopo nella parte in cui si faceva riferimento ad apporti.

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Un’altra disposizione, questa volta innovativa, che viene toccata dal Decreto Legislativo in esame, riguarda gli utili derivanti dai contratti di cointeressenza propria conseguiti dalla persona fisica titolare di redditi d’impresa.

In base a quanto prevedeva il “vecchio” articolo 59, comma 2,  del tuir “gli utili derivanti dai contratti di cui alla lettera f) del comma 1 dell’art. 44 non concorrono alla formazione del reddito complessivo dell’esercizio in cui sono percepiti, in quanto esclusi, limitatamente al 60% del loro ammontare.”

Da quanto sin qui esposto, ne risultava che:

-        se il percettore era una persona fisica e incassava tale componente di reddito al di fuori dell’esercizio di impresa commerciale l’utile concorreva interamente al redito complessivo;

-        diversamente il componente positivo concorreva al reddito nella misura del 40%.

Si verificava, così, un incredibile “disallineamento”.

Infatti, l’articolo 109, comma 9, lettera b) del Tuir, come sopra visto, stabilisce la deducibilità del componente negativo che remunera il cointeressato che ha adottato il contratto nella forma “propria”, senza apporto. 

Il decreto legislativo in esame, con l’articolo 3, comma 2, riformula l’articolo 59 del Tuir, così disponendo:

Gli utili relativi alla partecipazione al capitale o al patrimonio delle società e degli enti di cui all’art. 73, nonché quelli relativi ai titoli e agli strumenti finanziari di cui all’art. 44, comma 2, lettera a), e le remunerazioni relative ai contratti di cui all’art. 109, comma 9, lettera b), concorrono alla formazione del reddito complessivo nella misura del 40% del loro ammontare, nell’esercizio in cui sono percepiti. Si applica l’articolo 47, per quanto non diversamente previsto dal periodo precedente”.

Ecco che il contratto di cointeressenza propria esce da questa disposizione e trova, conseguentemente, un trattamento fiscale coerente, analogo a quello dichiarato dal percettore di redditi di capitale.

Contrariamente a quanto affermato dalla relazione ministeriale, nella parte in cui ricorda che queste modifiche sono solo formali, emerge, qui, la correzione di un salto d’imposta parziale.

Poiché si tratta di norma sostanziale, non può essere applicata la decorrenza retroattiva richiamata dal decreto legislativo in esame.

Risulta, invece, applicabile l’articolo 3 dello Statuto del Contribuente, con conseguente decorrenza dal 1 gennaio 2006.

A questo punto sembra che lo stesso legislatore non si sia accorto che il rimaneggiamento delle norme ha creato nuova imposizione. Questa sensazione è confortata dalla lettura della relazione ministeriale di accompagnamento al provvedimento nella quale si dice chiaramente che tali modifiche, essendo solo formali, entrano in vigore il 1 gennaio 2004.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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