Dalla
rivista “Il Fisco” n. 21/2003
La delega alla sottoscrizione
dell’avviso di accertamento nelle imposte sui redditi.
Verifichiamone la validità.
Di
Alberto Buscema
Dottore
Commercialista in Padova
Premessa
Gli avvisi di
accertamento sono gli atti con i quali l’amministrazione finanziaria
veicola le proprie pretese impositive. Nel predisporli la pubblica
amministrazione deve prestare attenzione sia alle norme sostanziali, quelle
cioè che riguardano la quantificazione della pretesa, che a quelle procedurali, le quali involgono
molti aspetti: dalla sottoscrizione del funzionario abilitato, alla
notificazione, ecc..
Molto spesso
proprio una violazione procedurale è in grado di porre nel nulla tutta
l’attività compiuta dai funzionari delle imposte; non si tratta, come
sostengono alcuni, di puri "cavilli" ma del rispetto di norme
stabilite a garanzia del contribuente.
In
quest’ambito sono di grande attualità le questioni relative alla nullità
della notifica che hanno portato la Cassazione ad esprimersi recentemente prima
a favore della insanabilità della stessa e poi, tornando ad una
interpretazione dominante nel passato, alla sanabilità, conferita dalla
costituzione in giudizio, poiché l’atto ha raggiunto lo scopo a cui è
destinato.
Di stretta
attualità risultano anche le questioni che involgono la firma dell’avviso
di accertamento poiché deve essere rispettata, innanzitutto, la
disposizione stabilita dall’articolo 42, primo comma, del D.P.R. n.
600/1973.
Proprio di questo
tema, più in particolare della delega del potere di sottoscrizione degli
avvisi di accertamento, mi occuperò in queste righe analizzando per primi i
profili generali della questione per poi giungere alle novità normative.
La sottoscrizione degli avvisi di
accertamento
La verifica
dell’atto impositivo passa essenzialmente attraverso il confronto con gli
articoli 42, 43 e 60 del D.P.R. 600/73.
Nell’ambito
delle varie verifiche di conformità alla legge di particolare rilievo
appare l’applicazione del citato articolo 42, primo comma, che così
dispone:
“Gli
accertamenti in rettifica e gli accertamenti d’ufficio sono portati a
conoscenza dei contribuenti mediante la notificazione di avvisi
sottoscritti dal capo dell’ufficio o da altro impiegato della carriera
direttiva da lui delegato.”
Accade che,
negli ultimi anni, sempre più spesso ci si imbatta in avvisi firmati da
persone diverse dal capo dell’ufficio.
Ci si chiede,
quindi, se l’atto sia comunque valido e se deve avere particolari e diversi
requisiti rispetto ad un atto firmato dal capo dell’ufficio.
Sovente,
infatti, in sede processuale il ricorrente invoca la nullità dell’atto
perché non sottoscritto dal capo dell’ufficio e l’amministrazione
finanziaria provvede a depositare la delega che autorizza la firma ad altra
persona dell’ufficio.
Alcuna
giurisprudenza ritiene che la delega così prodotta sia idonea a superare
l’eccezione di nullità dell’atto.
Cerchiamo di
verificare se una soluzione di tal fatta sia conforme alle disposizioni che
regolano e hanno regolato la materia.
I principi dello Statuto del
contribuente
Vengono qui
in rilievo i principi introdotti recentemente dalla legge 27 luglio 2000,
n. 212.
Più in
particolare risulta applicabile l’articolo 10, che così prevede:
“I rapporti
tra contribuente e amministrazione finanziaria sono improntati al principio
della collaborazione e della buona fede.”
Si può
ritenere che una delega conferita dal capo dell’ufficio ad un altro
funzionario tramite la redazione di un “atto interno”, quindi non esplicitato
al contribuente, possa essere idonea ad assolvere i requisiti del primo
comma dell’articolo 42 del D.P.R. 600/1973?
Credo che
proprio la lettura di questa norma dello Statuto del Contribuente
significhi che l’amministrazione finanziaria debba agire secondo
correttezza e imparzialità.
La stessa
imparzialità che troviamo scritta nell’articolo 97 della Costituzione,
della quale lo Statuto del Contribuente si fa interprete.
Sulla
superiorità assiologica dello Statuto del Contribuente e sulla idoneità delle
sua norme ad ergersi quali “principi fondamentali della materia tributaria”
ha avuto modo di esprimersi la Cassazione con la sentenza n. 17576 del
12.2.2002.
In
particolare questa giurisprudenza, apprezzata dalla dottrina, ha avuto
modo, tra l’altro, di sostenere che esso esprime “principi generali …
dell’azione amministrativa … che dettano disposizioni volte … ad assicurare
la “trasparenza” dell’attività (amministrativa nda)”.
Un’altra
sentenza della Cassazione, la n. 4760 del 2001, ha avuto modo di ritenere
che i principi in esso contenuti devono aiutare l’interprete a ricavare
dalle norme il senso che le renda compatibili con i principi
costituzionali citati dall’articolo 1 dello Statuto.
Stiamo
assistendo al consolidarsi di una interessante posizione giurisprudenziale
che conferisce il massimo del valore interpretativo alle disposizioni della
legge n. 212/2000.
Lo Statuto
del Contribuente, quindi, deve ritenersi diretta lettura dei principi
costituzionali, ex articolo 1 delle legge 212/2000, la cui violazione
comporta la nullità insanabile dell’atto.
Ancora sui principi di
collaborazione, buona fede e imparzialità
Tornando
all’esempio dell’avviso di accertamento firmato da un funzionario diverso
dal capo dell’ufficio senza che la delega di potere sia in qualche modo
esplicitata, non si comprende per quale motivo l’amministrazione
finanziaria debba tenere celata la delega di firma, posto che il
contribuente ha il diritto di verificarne l’esistenza, poiché l’atto è
idoneo ad incidere la sua sfera patrimoniale e, quindi, diventa massima
l’esigenza di verificare il rispetto delle disposizioni dell’articolo 42,
primo comma, del D.P.R. 600/1973.
Di più: i
principi sopra enunciati dovrebbero far sì che l’amministrazione
finanziaria dichiari che quella delega è ancora valida, cioè non revocata,
all’atto dell’emanazione dell’avviso di accertamento, e costringano
l’ufficio a prendere posizione, in base al principio di buona fede, sulla
attuale validità della delega.
Poiché spesso
è accaduto che le deleghe prodotte fossero datate anche alcuni anni
addietro, pratica che, come vedremo, non appare permessa, perlomeno dalle
recenti disposizioni.
Il
contribuente non è tenuto a fare un “atto di fiducia” nei confronti
dell’ufficio e fidarsi dell’esistenza della delega ma ha diritto di sapere,
all’atto del ricevimento dell’avviso di accertamento, che esiste una
delega, senza essere costretto a presentare un ricorso giurisdizionale per
verificare la conformità dell’atto all’articolo 42, D.P.R. 600/1973.
Invalidità di deleghe permanenti e
generali
Dicevamo che
alcuni uffici producono in giudizio deleghe rilasciate anche anni prima
della sottoscrizione dell’atto accertativo.
Ritengo
innanzitutto che una delega di firma non possa essere di carattere generale
e permanente ma debba essere rilasciata di volta in volta per incarichi
specifici.
Una delega di
funzioni generale eluderebbe la ratio per la quale una funzione viene
attribuita ad una determinata persona che risponda a determinati requisiti.
Se poi la stessa è libera di delegare permanentemente le proprie funzioni
si violerebbe la volontà della legge che ritiene di affidare ad una persona
con determinate caratteristiche tali poteri.
In questa
ottica si può intendere anche l’articolo 42 DPR 600/1973 ritenendo che sia
ordinariamente il capo dell’ufficio a firmare gli accertamenti e che la
norma abbia voluto prevedere le ipotesi di sua assenza o impedimento
stabilendo la delega ad un funzionario direttivo.
Un supporto a
questa interpretazione si può ricavare dalla lettura dell’articolo 3, comma 129, della legge
n. 662/1996, che specifica: ”Durante l'assenza del titolare, dovuta a vacanza del posto o a
qualsiasi altra causa, la direzione degli uffici centrali e periferici del
Ministero delle finanze e degli uffici della Amministrazione dei monopoli
di Stato può essere affidata, a titolo di temporanea reggenza, con
il procedimento previsto dall'articolo 19, comma 3, del decreto legislativo
3 febbraio 1993, n. 29”.
La
Commissione Tributaria di I grado di Reggio Emilia, con la decisione n.
4007, del 20.11.1985, interpretando una norma di tenore pressochè identico
a quella appena riportata, ha avuto modo di stabilire che: “… non può il
titolare dell’Ufficio, o il reggente, rilasciare una delega di carattere
generale ai vari funzionari per sottoscrivere gli accertamenti ma la delega
dev’essere rilasciata di volta in volta, in modo che il funzionario possa
specificare di essere stato delegato per trattare e sottoscrivere quella
determinata pratica”.
L’esistenza della delega
La stessa
decisione ha modo di proseguire: “E ritiene la Commissione che tale delega
non possa considerarsi atto interno dell’amministrazione, ma debba invece
essere portato a conoscenza della parte proprio attraverso la
specificazione, nella sottoscrizione, che quel tale funzionario agisce per
delega del titolare dell’ufficio rilasciata sotto una data precisa e per
quella determinata pratica”.
Questa parte
della decisione non fa riferimento a norma diversa da quella citata sopra a
proposito della reggenza temporanea. Tuttavia l’interpretazione mi pare
conforme al principio di cui all’articolo 97 della Costituzione.
L’imparzialità
viene qui in rilevo quale garanzia che l’amministrazione finanziaria non
privilegi alcun interesse, nemmeno il proprio.
Pertanto la
mancanza di specificazioni che siano idonee a dimostrare l’esistenza di una
delega ben possono essere interpretate dal giudice quale violazione di
questo principio.
Gli articoli 5 e 7 dello Statuto del
Contribuente
Vi sono altre
disposizioni della legge n. 212/2000 che aiutano a chiarire la questione.
Si prende in
esame per primo l’articolo 5, comma 2, rubricato “Informazione del
contribuente”.
Non vi è
dubbio che la delega attribuita dal capo dell’ufficio ad altro impiegato
alla carriera direttiva sia un atto che dispone sulle funzioni.
Infatti: che
sia un atto è palese.
Che disponga
sulle funzioni è evidente dalla lettura della rubrica dell’articolo 17 del
D.Lgs. 30 marzo 2001, n. 165.
Quindi, in
base a questa norma, si scorge un obbligo a carico dell’amministrazione
finanziaria di portare a conoscenza il contribuente con tempestività
dell’attribuzione di delega.
Poiché il
mezzo idoneo e tempestivo è, nel caso in esame, l’avviso di accertamento se
ne conclude che è proprio l’indicazione in questo atto o, anche,
l’allegazione della delega che sono idonei a rispettare questa previsione.
Ma ancora più
incisivo, e direi dirimente sul punto, è l’articolo 7, comma 1, che, in
tema di motivazione, fa riferimento agli “atti dell’amministrazione” in
generale.
In questo
modo vengono in considerazione anche gli atti cosiddetti
“endoprocedimentali”, cioè interni al procedimento.
Proprio la
delega di funzioni appartiene a questa categoria e, dovendo rispettare i
requisiti di questa norma, risulta dover essere motivata contenendo i
presupposti di fatto e le ragioni giuridiche che hanno determinato la volontà
dell’amministrazione finanziaria.
Arrivati a
questa conclusione qualche dubbio, in verità, sorge.
Si parla di
presupposti e ragioni che hanno determinato, letteralmente, “la decisione”
dell’amministrazione finanziaria. La delega di cui qui si discute è l’attribuzione di funzioni da una
persona ad un’altra nell’ambito
dell’amministrazione finanziaria.
La norma
sembra, invece, volersi riferire a decisioni che promanano
dall’amministrazione finanziaria ed incidono sulla sfera giuridica del
contribuente.
Mi pare,
però, che una tale ricostruzione sia troppo puntigliosa e non faccia
riferimento alla ratio che vuole sia appalesato il ragionamento che ha
portato ad una decisione che riguarda il contribuente, al fine di
tutelarlo.
Poiché l’atto
finale ha il potere di imporsi sul contribuente, egli ha il diritto di
controllare che tutta la formazione dell’atto sia avvenuta secondo legge
verificando la legittimità di ogni suo contenuto.
Sono quei
principi, che si sommano a quelli già citati, così chiaramente esplicitati
nello Statuto del Contribuente e che fanno riferimento alla chiarezza,
intesa anche come trasparenza, e alla informazione dovuta al contribuente.
La situazione attuale
Il panorama
legislativo si è arricchito recentemente di una disposizione che chiude
definitivamente la questione, almeno con riguardo agli atti impositivi
formati dopo la sua promulgazione.
Ci si
riferisce all’articolo 2, comma 1, della legge n. 145/2002 intitolata
“Delega di funzioni dei dirigenti”.
Questa norma
ha aggiunto il comma 1-bis all’articolo 17 del decreto legislativo 30 marzo
2001, n. 165, di seguito riportato: “I dirigenti, per specifiche e
comprovate ragioni di servizio, possono delegare per un periodo di tempo
determinato, con atto scritto e motivato, alcune delle competenze comprese
nelle funzioni di cui alle lettere b), d) ed e) del comma 1 a dipendenti
che ricoprano le posizioni funzionali più elevate nell’ambito degli uffici
ad essi affidati. Non si applica in ogni caso l’articolo 2103 del codice
civile.”
Come si può
notare questa legge chiarisce tutte le questioni sollevate nei punti
precedenti e dei quali abbiamo tentato di dare una risposta applicando
principi generali.
Si stabilisce
che la delega debba avere un tempo determinato, ciò che si poteva già
ricavare dalla combinata lettura
dell’articolo 3, comma 129, della legge n. 662/1996 e dell’articolo
42, primo comma, DPR 600/1973, nonché facendo leva sul principio che se una
delega è a tempo indeterminato si eludono le norme che conferiscono un
potere ad una determinata persona che debba possedere determinate
caratteristiche.
Tant’è che
debbono coesistere le specifiche e comprovate ragioni di servizio.
Si chiarisce,
inoltre che l’atto debba essere scritto e motivato; la motivazione deve
proprio servire quale strumento di verifica che siano presenti le
specifiche e comprovate ragioni di servizio.
Insomma tutti
principi di civiltà giuridica che alcuna giurisprudenza aveva già
individuato.
Il problema
di fondo, l’interpretazione alla quale proprio l’amministrazione
finanziaria cercherà di aggrapparsi, resta sulla portata di questa nuova
norma: è interpretativa, cioè confermativa di un principio che già esisteva
nell’ordinamento, oppure innovativa, cioè introdotta ed operante solo dalla
sua promulgazione?
Dalle
considerazioni sin qui esposte sulla applicabilità dell’articolo 97 della
Costituzione appare evidente la mia propensione per la prima soluzione;
condivido, cioè, l’interpretazione che ne hanno dato i due giudici di primo
grado citati nelle note che precedono perché appaiono conformi ai principi
costituzionali, la lettura dei quali deve sempre guidare l’interprete e
illuminare norme in parte oscure.
Conclusioni
La prassi
delle deleghe di firma non esplicitate negli avvisi di accertamento mi
risulta abbastanza diffusa.
Le
indicazioni generali sin qui fornite possono essere utilizzate per
contrastare gli avvisi di accertamento di anni in cui non erano ancora in
vigore le novità indicate e per i quali gli uffici producono ora le
deleghe, in sede di giudizio, in risposta alla eccezione sollevata dalla
parte ricorrente circa l’invalidità della sottoscrizione.
D’ora in poi,
per effetto del nuovo comma 1-bis all’articolo 17 del decreto legislativo
30 marzo 2001, n. 165, non
dovrebbero esserci più divergenze interpretative sulla procedura da
adottare per delegare le funzioni di dirigenza ponendo fine ad una annosa querelle.
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