Da “Il Fisco” n. 3/2018
Non è sanzionabile il rifiuto di esibire
i documenti richiesti dal Fisco nella fase del Reclamo/Mediazione
Di Alberto Buscema
AvvocatoTributarista e Dottore
Commercialista in Padova
L’Amministrazione
finanziaria non è titolare di poteri che obblighino il contribuente ad
esibire documenti nella fase del Reclamo/Mediazione, a pena di
inutilizzabilità nella successiva sede processuale, poiché la normativa che
disciplina tale preclusione riguarda solo la fase istruttoria. Le
diposizioni che pongono tale sanzione, stabilite dall’art. 32, commi 4 e 5,
del D.P.R. n. 600/1973, sono collocate nell’ambito di quelle disciplinanti
i poteri accertativi e sono di stretta interpretazione, per cui non possono
essere interpretate analogicamente.
1.
Premessa
L’Agenzia delle entrate è titolare di poteri
particolarmente invasivi per procedere al controllo della posizione fiscale
del contribuente, e, in forza di tali poteri, procede all’acquisizione del
materiale probatorio che dovrà supportare la pretesa successivamente veicolata
dall’atto impositivo.
Durante e
all’esito di tale controllo, il contribuente è sì assoggettato a tali
poteri, ma ha anche una serie di diritti, fra tutti quello di difendersi,
e, in questo senso, anche quello di farsi assistere da un professionista
abilitato alla difesa dinanzi agli organi di giustizia tributaria.
Il giusto equilibrio fra poteri istruttori
dell’Amministrazione finanziaria e diritti del contribuente è spesso
difficile, essendovi in gioco due interessi apicali tra loro contrapposti:
da una parte l’interesse dello Stato a percepire i tributi che servono a
farlo funzionare e dall’altra quello del contribuente a non veder invadere
i propri spazi vitali, all’applicazione delle imposte nella giusta misura,
e così via.
Alcune
disposizioni dimostrano la tensione di tale equilibrio proprio nella fase
più critica del rapporto tra Amministrazione finanziaria e contribuente,
ovvero nella fase istruttoria, in cui l’Ufficio, utilizzando i propri
poteri, pretende alcuni documenti per verificare la correttezza della
posizione fiscale del soggetto, limitando il diritto di difesa del
contribuente che, se non adempie alla richiesta, non potrà utilizzare tali
documenti a suo favore nella successiva fase contenziosa. Una di queste diposizioni
è contenuta nell’art. 32, commi 4 e 5, del D.P.R. 29 settembre 1973, n. 600
e ci si chiede se essa possa essere applicata analogicamente in altri
ambiti, posto che la giurisprudenza di merito(1) ne ha esteso
l’applicazione agli istituti del Reclamo e della Mediazione (2),
previsti e disciplinati dall’art. 17-bis, del D.Lgs.
n. 546/1992, nonostante la Corte di cassazione abbia, in passato, limitato
espressamente tale sanzione all’attività accertativa (3).
Se fosse davvero possibile introdurre le preclusioni
probatorie in sede di Reclamo, la fase istruttoria non terminerebbe con
l’emissione dell’atto impositivo, ma continuerebbe in ogni contatto con
l’Amministrazione finanziaria. Così si frustrerebbe l’esercizio del diritto
di difesa del contribuente e si determinerebbe la sua continua soggezione
nei confronti dell’erario, anche dopo la presentazione del ricorso.
Certamente, se
il Reclamo fosse trattato da un soggetto terzo e imparziale e non da un
Ufficio interno all’Agenzia delle entrate (4) - che è una delle
parti in causa - il problema non sorgerebbe nemmeno: a nessuno verrebbe in
mente di utilizzare poteri accertativi “per finalità deflative del
contenzioso”, perché non ce ne sarebbe ragione e nemmeno vi sarebbe una
disposizione che li autorizzerebbe (5).
2. Sanzioni per l’omessa produzione
della documentazione
Per comprendere l’ambito di operatività dell’art.
32, commi 4 e 5, del D.P.R. n. 600/1973 è necessario procedere all’analisi
del contesto in cui la disposizione è inserita, indagare la sua formulazione
ed individuare la sua ratio.
Il D.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, al quale
appartiene l’art. 32 qui in esame, è intitolato “Disposizioni comuni in
materia di accertamento delle imposte sui redditi”; già questo primo
sommario approccio induce a ritenere che le disposizioni ivi contenute si
applichino solo nell’ambito accertativo. Più in dettaglio, l’art. 32 è
collocato nel “Titolo IV” rubricato “Accertamento e controlli”. L’art. 31,
del medesimo D.P.R. n. 600/1973, chiarisce quali siano le “Attribuzioni
degli Uffici delle imposte”, specificando che gli Uffici delle imposte
controllano le dichiarazioni fiscali, liquidano le imposte o maggiori
imposte dovute, vigilano sulla corretta tenuta delle scritture contabili e
degli altri obblighi stabiliti “nelle altre disposizioni relative alle
imposte sui redditi”.
L’ambito
appare, quindi, quello del controllo del corretto assolvimento dei
carichi tributari, in particolare in relazione alle imposte sui
redditi.
L’art. 32, del D.P.R. n. 600/1973, prima di enunciare
la disposizione che sanziona il contribuente in caso di rifiuto di esibire
la documentazione richiesta, chiarisce infatti che i poteri degli Uffici
sono esercitati “nell’ambito dei loro compiti”, che sono i compiti di
controllo stabiliti dal precedente art. 31 sopra riportato.
Quindi l’Ufficio ha il potere di esaminare la
situazione fiscale complessiva del contribuente per verificare il corretto
adempimento degli obblighi tributari e una eventuale opposizione del
contribuente a produrre la documentazione richiesta si traduce in un
impedimento a produrla anche nella fase contenziosa, evidentemente per
evitare che l’attività istruttoria sia impedita o comunque vanificata dalla
presentazione di documenti decisivi in sede processuale.
Insomma, da questa prima lettura emerge che la
sanzione dell’inutilizzabilità processuale della documentazione richiesta e
non esibita è confinata alle richieste dell’Ufficio nella fase
accertativa.
L’attenta
lettura dello stesso art. 32, comma 4, del D.P.R. n. 600/1973, conferma
questa impostazione.
Il periodo
normativo afferma che tali documenti, atti, libri e registri, devono essere
“non esibiti o non trasmessi in risposta agli inviti dell’Ufficio”,
dove la parola “inviti” è chiaramente riferita ai precedenti punti 3 e 4,
del comma 1, relativi agli inviti al contribuente per fornire “dati e
notizie rilevanti ai fini dell’accertamento nei loro confronti”; non viene
ricompreso il comma 2, poiché tale disposizione, pur riguardando anch’essa
gli “inviti”, contiene già le basi per la rettifica del reddito, essendo
basata su dati bancari già in possesso dell’Ufficio, per cui l’intervento
del contribuente è solo volto a diminuire il carico fiscale, dimostrando
l’irrilevanza dei movimenti ai fini impositivi.
Quindi gli inviti sono tassativamente quelli
previsti da questa disposizione e non sono applicabili ad altre fattispecie
e/o ambiti.
La conferma viene dalla lettura dell’analoga
disposizione contenuta nel Decreto che disciplina l’IVA, nel quale è
meglio specificato che gli inviti si riferiscono precisamente ai questionari
o alle richieste di esibizione e trasmissione dei documenti, atti,
libri e registri (6).
L’art. 52
dell’IVA, rubricato “Accessi, ispezioni e verifiche”, dopo aver
disciplinato i poteri degli Uffici - in caso di accesso nei locali
destinati all’esercizio di attività commerciali, agricole o professionali -
al comma 6, prevede la medesima disposizione sanzionatoria sin qui
commentata.
La stessa
disposizione è richiamata, nell’ambito delle imposte dirette, dall’art. 33,
comma 1, del D.P.R. n. 600/1973.
Quindi la disposizione sanzionatoria si
applica, sia agli inviti, sia agli accessi, ispezioni e
verifiche (7).
Anche in ambito
IVA, la disposizione è contenuta nel Titolo IV, rubricato “Accertamento e
riscossione” e, ovviamente, non riguarda altri ambiti; quindi i poteri
degli Uffici sono limitati ai controlli degli adempimenti al fine di
verificare la corretta quantificazione delle imposte (e dei correlati
obblighi strumentali).
L’esito di tali
controlli può comportare l’emissione di avvisi di accertamento (8)
i quali - e qui ci riagganciamo alle disposizioni sul Reclamo - possono
essere impugnati dai contribuenti e assoggettati al vaglio giudiziale.
Quindi vi è uno stretto collegamento tra poteri
dell’Ufficio ed emissione di atti impositivi: i poteri, quindi, sono
finalizzati all’emissione dell’atto e non si esercitano oltre, essendo
raggiunto lo scopo.
La sanzione è limitata
alla fase istruttoria, perché - giustamente - il contribuente non può
venire meno al principio di buona fede, né può danneggiare
l’Amministrazione finanziaria costringendola ad una inutile attività
accertativa che può sfociare in un contenzioso nel quale vengono prodotti
documenti a sorpresa (9).
E ciò anche in
virtù del fatto che il precetto normativo - stabilito dall’art. 32, commi 4
e 5, del D.P.R. n. 600/1973 - è di stretta interpretazione, posto che
comporta una limitazione del diritto di difesa del contribuente,
tutelato dall’art. 24 della Costituzione, e non può essere esteso
analogicamente ad altri ambiti (10).
Quindi trova applicazione esclusivamente
nell’ambito istruttorio finalizzato all’accertamento.
In questo senso converge anche l’art. 39, comma 2,
lett. d-bis), del D.P.R. n. 600/1973, dove si attiva la ricostruzione
induttiva del reddito “quando il contribuente non ha dato seguito agli
inviti disposti dagli Uffici ai sensi dell’art. 32, primo comma, numeri 3 e
4, del presente Decreto o dell’art. 51, secondo comma, numeri 3 e 4, del
D.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633”.
Emerge,
pertanto, che la ratio della norma è quella di contemperare il
diritto di difesa del cittadino col principio di buona amministrazione, non
disinvoltamente sacrificabile in presenza di comportamenti che ne
ostacolino ingiustificatamente la realizzazione (11).
La stessa Corte
di cassazione limita tale sanzione all’attività accertativa, avendo
affermato chiaramente che l’eventuale omissione va confinata alla sede
precontenziosa, escludendo così l’applicazione in altri ambiti (12).
3. Disposizioni sul Reclamo
L’art. 17-bis,
del D.Lgs. n. 546/1992 stabilisce che per le
controversie di valore limitato (13) il ricorso non sia
procedibile per un periodo di novanta giorni dalla data di notifica
affinché possa essere esaminato da apposite strutture “diverse ed autonome
da quelle che curano l’istruttoria degli atti reclamabili”, ovvero, nel
caso che ci occupa, dall’Ufficio legale dell’Agenzia delle entrate.
Quando l’atto
impositivo viene notificato al contribuente, la fase istruttoria
si è già esaurita e l’Amministrazione finanziaria, valutata la
documentazione raccolta, si è determinata per l’emissione dell’atto.
E questa
decisione è presa allo stato degli atti, ovvero sulla base dei documenti
raccolti nella fase istruttoria, dove vigeva la preclusione stabilita
dall’art. 32 volta a non alterare il quadro probatorio in possesso
dell’Ufficio affinché non ci siano sorprese negative nella eventuale
successiva fase contenziosa.
Già questa prima osservazione fa comprendere che ci
sarebbe una irragionevole duplicazione di preclusioni, qualora essa fosse
applicabile anche alla fase del Reclamo: si verificherebbe la strana
ipotesi che al contribuente possano essere chiesti documenti in fase
istruttoria e poi ancora - dopo che l’Amministrazione ha letto le difese
del contribuente - nella fase del Reclamo, sempre sotto pena di
inutilizzabilità.
In ogni caso, quando si giunge alla fase del
Reclamo, l’avviso di accertamento è già perfezionato, contiene tutti
gli elementi della maggiore pretesa ed è stato notificato al contribuente;
questi ha deciso di impugnare l’atto autoritativo innanzi alla Commissione
tributaria provinciale, ai sensi dell’art. 18, del D.Lgs.
n. 546/1992, e ha conseguentemente proposto ricorso.
Quella del
reclamo è una fase processuale, pur sospesa per consentire
all’Amministrazione finanziaria di rivalutare la propria posizione alla
luce delle critiche mosse con il ricorso; il contribuente ha già assunto la
veste di ricorrente e, come visto, invece che seguire l’ordinario iter
per la costituzione in giudizio - che prevede il deposito del ricorso nei
successivi trenta giorni dalla sua proposizione - deve attendere l’esame
dell’Ufficio finalizzato all’eventuale atto di autotutela.
Insomma
l’Ufficio rimedita i suoi atti e gli sono fornite più opportunità: può
procedere ad annullare totalmente o parzialmente l’atto impositivo - quando
acquisisce contezza dell’illegittimità dell’atto - oppure, nel caso in cui
il fondamento della pretesa fiscale sia controverso, può offrire al
contribuente uno sconto sulle sanzioni per incentivarlo ad abbandonare il
contenzioso, o ancora può ridurre la pretesa impositiva perfezionando la
Mediazione.
Ma ciò non
impedisce di ritenere che la fase di Reclamo sia già una fase processuale e
non certo amministrativa, con tutte le garanzie stabilite dall’art. 24
della Costituzione sul diritto di difesa.
Infatti, l’art.
17-bis del D.Lgs. n. 546/1992, stabilisce
che “il ricorso produce anche gli effetti di un reclamo” e il successivo
art. 18, comma 1, stabilisce che “Il processo è introdotto con ricorso”: ci
si trova, quindi, con certezza nell’ambito del processo.
A processo
iniziato, ma reso quiescente per consentire il riesame della
pratica alla luce dei motivi di ricorso, i poteri accertativi non hanno
più alcun senso, l’avviso di accertamento è perfezionato e non si può più
modificare, se non in diminuzione tramite l’esercizio del potere di
autotutela.
L’Ufficio, per procedere all’emissione dell’atto
impositivo, deve aver già reperito la documentazione probatoria che
dimostra la fondatezza dei rilievi; e a ciò è deputata la fase
istruttoria, dove si dispiegano tutti i poteri amministrativi e si
acquisisce la documentazione probatoria di supporto fondante l’atto
autoritativo.
Nella fase successiva
alla presentazione del Reclamo l’Agenzia delle entrate non agisce
più nell’ambito della sua veste istituzionale di controllore degli
adempimenti fiscali ma, tramite il suo ufficio legale, e dunque
tramite funzionari facenti capo a una struttura diversa e autonoma rispetto
a quella da cui è promanato l’atto di accertamento, esercita un potere di deflazione
del contenzioso, valutando se la pretesa sia infondata in tutto o in
parte e compiendo delle valutazioni in ordine all’opportunità di coltivare
un contenzioso tributario. La previsione secondo cui sia l’Agenzia delle
entrate a trattare l’istanza di Reclamo avverso l’atto emesso dalla stessa
Agenzia è stata oggetto di forti critiche dalla dottrina (14)
perché, pur trattandosi di strutture diverse e autonome, si è comunque
affidato l’esame del reclamo alla medesima Agenzia, che è parte del
giudizio e come tale non può essere imparziale.
Ecco quindi che, considerando la ratio del
Reclamo e il fatto che dovrebbe essere assicurata l’imparzialità del
soggetto che tratta l’istanza, non ha alcun senso il richiamo a poteri
istruttori dell’Agenzia delle entrate in tale ambito.
Ma nemmeno si
possono immaginare poteri d’indagine dell’Ufficio legale volti a
costringere il contribuente a depositare altri documenti, essendo la
valutazione di tale Ufficio basata sulla sola istanza (15).
Insomma,
l’ufficio legale ha il solo “potere” di verificare la fondatezza del
reclamo alla luce dei motivi e dei documenti allegati e, semmai, di
formulare una proposta calibrata sul grado di incertezza della pretesa e al
suo grado di sostenibilità (16).
4. Conclusioni
Il reclamo non ha ad oggetto la verifica del
corretto assolvimento delle imposte, ma serve solo a valutare la fondatezza
del ricorso e impedire un inutile contenzioso.
Le disposizioni sanzionatorie che abbiamo
qui illustrato sono limitate alla fase istruttoria ed esistono in
virtù del principio di lealtà che deve improntare i rapporti tra Fisco e
contribuente. Esse garantiscono all’Agenzia delle entrate di poter valutare
tutta la documentazione acquisita, senza che ci siano sorprese nella
eventuale fase contenziosa, sorprese che vanificherebbero tutto lo sforzo
compiuto in sede istruttoria e avvantaggerebbero ingiustamente il
contribuente.
A di là della
ricostruzione giuridica sin qui effettuata, che già di per sé dimostra l’inapplicabilità
della preclusione ad altri ambiti, non avrebbe alcun senso applicare
tale disposizione al Reclamo, perché è un istituto formulato solo per
deflazionare il contenzioso inutile e non è certo un ambito nel quale si
utilizzano poteri autoritativi, essendo qui il piano di confronto
paritetico.
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