Da
“Il Fisco” n. 18/2007
Le nuove disposizioni
sull’indeducibilità delle spese relative ai veicoli e alla telefonia
contrastano con i principi costituzionali
Di Alberto Buscema
Dottore Commercialista in Padova
Premessa
Le nuove disposizioni sulla
indeducibilità delle spese e degli altri componenti negativi relativi alle
autovetture e alla telefonia fissa, sostenute da imprenditori ed esercenti
arti e professioni, non sono conformi ai precetti Costituzionali.
Le modifiche introdotte dalle recenti
leggi tributarie hanno sconvolto l’assetto precedente provocando evidenti
distorsioni concettuali. Le innovative misure discriminano le diverse
categorie di utilizzatori, modificando le loro basi imponibili senza che
sia percepibile una logica di fondo.
In
tema di autovetture l’unica motivazione della modifica è stata dettata
dall’esigenza di recuperare il gettito perso per effetto della sentenza
della Corte di Giustizia Europea del 14 settembre 2006 , nota per aver
risolto la questione pregiudiziale
sul contrasto tra la IV Direttiva Iva e la legge Italiana
sull’Iva in tema di detrazione dell’imposta. Questo improvviso debito
statale ha indotto il legislatore a trovare nuove risorse per favi fronte
e, come esplicitato dalla Circolare n. 1/E del 19 gennaio 2007, punto 17,
dell’Agenzia delle Entrate, la soluzione pensata è stata quella di
addossarla agli stessi fruitori dei benefici conseguenti.
Invece
per le spese di telefonia non sono stati illustrati i motivi che hanno
indotto il legislatore a modificare le percentuali di deduzione; tuttavia,
in conformità alla politica scelta dal governo negli ultimi tempi, si pensa
che la motivazione dell’inasprimento fiscale sia il mero reperimento di
gettito. Insomma non ci sarebbero motivi giuridici, per esempio una più
fedele rappresentazione della capacità contributiva dei contribuenti
interessati dalle modifiche, ma mere necessità finanziarie.
Queste
non possono essere conseguite manipolando le preesistenti disposizioni,
come ci accingiamo a dimostrare.
I principi costituzionali
Prima di esaminarne le possibili
ragioni, e per comprendere se sia permesso agire in questi termini,
conviene ripetere brevemente alcune nozioni base del nostro sistema
tributario.
Il nostro ordinamento normativo è,
principalmente, a struttura gerarchica, al vertice del quale vi è la
Costituzione, dai cui principi e norme dipendono tutti gli altri. In
particolare il settore fiscale attinge ai principi cardine della “capacità
contributiva” stabilito dall’articolo 53 della Costituzione, e
dell’”uguaglianza”, posto dall’articolo 3.
Le norme tributarie devono essere
confrontate principalmente con questi due principi per controllarne la
legittimità.
Le norme Costituzionali sono
precettive, cioè sono un vincolo obbligatorio per il legislatore; non sono
meramente programmatiche. Così ha deciso la Corte Costituzionale,
con la sua prima sentenza, n. 1 del 1956. Fino a quella decisione le norme
Costituzionali erano state considerate, da alcuni, semplicemente come principi ai quali l’ordinamento
doveva tendere, senza alcun vincolo obbligatorio.
Quindi, quella importante prima
decisione della Corte Costituzionale ha stabilito che le norme
costituzionali sono il fondamento, i principi base di tutto l’ordinamento,
incluso quello tributario.
Come dicevamo, il settore tributario è
governato principalmente dal principio di capacità contributiva, che si
attua nella misurazione della ricchezza personale in termini economici
reali, intesi come non fittizi, ed è quindi basata su indici concretamente
rivelatori di ricchezza.
Insomma, per cominciare ad introdurre
il tema della misurazione del reddito, questa non si può inventare per
legge ma deve essere ancorata alla realtà (principio di effettività). La
logica è che non si possa tassare una capacità contributiva inesistente.
Tra i principi costituzionali
utilizzati in materia tributaria vige anche quello dell’uguaglianza:
significa che a situazioni uguali devono corrispondere trattamenti uguali.
Un corollario del principio di
uguaglianza, che tuttavia sembra recentemente connotarsi di consistenza
autonoma, è il principio di ragionevolezza, parametro di coerenza della
legislazione.
Ecco che il prelievo tributario non
deve essere arbitrario, irragionevole. In particolare,
rifacendoci al principio di uguaglianza, l’imposizione non deve essere
diversa per soggetti che si trovano nella medesima situazione.
Le
regole tributarie di determinazione del reddito
Nel settore tributario, in particolare
procedendo al calcolo delle imposte sul reddito degli imprenditori, il
reddito effettivo potrebbe, astrattamente, essere misurato dalla
contrapposizione tra costi e ricavi, ricorrendo al bilancio dell’esercizio.
Tuttavia esigenze primarie giustificano
alcuni scostamenti dal risultato d’esercizio civilistico.
Queste sono:
1) esigenze di certezza e semplificazione del rapporto
tributario. Tali correttivi sono stati introdotti per evitare le incertezze
derivanti da quantificazioni stimabili (ammortamenti, accantonamenti,
rimanenze ecc.). Ecco il ricorso a meccanismi rigidi di determinazione;
2) l’interesse a prevenire comportamenti elusivi o evasivi. Si
pensi ai componenti di reddito derivanti da operazioni con società non
residenti, in qualità di controllate o controllanti, valutati al valore
normale. Il parametro è stato introdotto per contrastare i fenomeni elusivi
di trasferimento di ricchezza all’estero, perlopiù verso paesi a bassa
fiscalità;
3) norme agevolative o disincentivanti. Sono quelle che hanno
fini extratributari ma si risolvono nell’utilizzo della leva tributaria per
promuovere o disincentivare alcuni tipi di atti.
Analoghi criteri guidano la
determinazione del reddito di artisti e professionisti.
Da questa elencazione emerge la logica
che dovrebbe guidare il legislatore nell’emanare disposizioni tributarie in
ambito di imposte sul reddito.
Insomma, la misurazione del reddito
deve essere ancorata alla realtà e potrebbe essere ben fotografata dalla
contrapposizione costi-ricavi ma viene corretta per finalità di
semplificazione, antievasione e agevolazione.
Riferendoci, per un solo istante, alla
novità introdotta in tema di veicoli, cioè limitata la deduzione al 25% dei
costi e spese relative, si potrebbe pensare che la ridotta o esclusa
deducibilità sia da ritenere una disposizione antielusiva. Tuttavia non si
intravvede alcuna motivazione che possa sorreggere una tale tesi.
Precedentemente per i professionisti era prevista la deduzione delle spese
e degli altri componenti negativi relativamente ad una sola auto e nella
misura del 50%. L’elusione era già stata impedita prevedendo il limite di
una sola auto per professionista. Per gli imprenditori, per i quali
attualmente è stata esclusa ogni forma di deduzione per le auto non
strumentali, la misura della deduzione era il 50%, senza limiti numerici di
mezzi. Qui il contrasto poteva avvenire efficacemente “sul campo”; cioè in
sede di verifica si poteva controllare se il parco auto era adeguato alla
struttura dell’impresa. Per esempio poteva essere contrastata efficacemente
la pratica di chi, imprenditore individuale senza dipendenti, deduceva più
di un mezzo senza adeguate ragioni.
Per quanto riguarda le spese di
telefonia fissa, rifacendoci alle tre categorie di eccezioni che possono
determinare scostamenti rispetto al reddito civilistico, non si riescono a
trovare ragioni che inducano a farle
rientrare in alcuna di queste.
Insomma non si scorgono deroghe fondate
ai principi di determinazione del reddito. Questa è una prima conferma
dell’arbitrarietà della scelta. Non si scorge alcuna aderenza alla
situazione economica effettiva.
Analizziamo ora nel dettaglio le
disposizioni.
Le
modifiche che riguardano i veicoli
L’impatto della sentenza della Corte di
Giustizia Europea sui conti pubblici ha peggiorato notevolmente il noto
parametro deficit/Pil, utilizzato quale indice di valutazione dei conti
italiani in sede europea. Per compensare l’effetto sui conti dello Stato è
stato deciso di intervenire sulla tassazione, in particolare incidendo gli
stessi destinatari del rimborso dell’iva. Lo strumento fiscale utilizzato
consiste nella minore deducibilità, ai fini dell’imposta sul reddito, del
costo e delle spese relative ai mezzi di trasporto a motore. La
disposizione che introduce la nuova misura è l’articolo 2, comma 71, primo
periodo, lettera b), del D.L. 3.10.2006, n. 262, che ha modificato l’articolo
164, D.P.R. n. 917, del 22.12.1986.
In sostanza il legislatore fissa, per
le autovetture e gli autocaravan di cui alle lettere a) e m) dell’art. 54
D.Lgs. n. 285/1992 e per ciclomotori e motocicli, le percentuali di
deduzione delle spese e degli altri componenti negativi nella misura del
25% per i professionisti e le esclude totalmente per la generalità degli
imprenditori, salvo che per gli agenti e rappresentanti.
Anche qui è evidente l’arbitrarietà e
la disuguaglianza.
La precedente deduzione del 50% che
accomunava imprenditori e professionisti era razionale. Ora invece i
professionisti possono dedurre solo il 25% e gli imprenditori … nulla!
Qui c’è addirittura uno scollamento
“interno”, cioè tra le disposizioni che disciplinano la deduzione dei costi
relativi ai veicoli dei professionisti e quelle che stabiliscono la
deduzione per gli stessi mezzi degli imprenditori. E’ evidente la disparità
di trattamento tra professionisti e imprenditori in presenza di situazioni
uguali. In altre parole, perché al professionista è concessa la deduzione,
seppur minima, dei componenti negativi dei veicoli e all’imprenditore no?
Forse l’auto per gli imprenditori non è stata giudicata indispensabile: per
coerenza allora si dovevano rendere indeducibili le spese che questi
soggetti sostengono per l’utilizzo di taxi, corriere (per piccole consegne
o acquisti) , ecc., cioè dei servizi sostitutivi. Insomma se si deve essere
irragionevoli bisogna almeno essere coerenti. Anche su questo punto valgono
le considerazioni fatte sopra sull’arbitrarietà di tali percentuali, che
non aderiscono alla realtà, alla
comune esperienza. Consentire la deduzione del 25% ai professionisti
significa non cogliere la situazione di un contribuente che lavora
mediamente otto ore per almeno cinque giorni alla settimana. Escludere
totalmente il costo dal reddito degli imprenditori significa considerare
che l’auto non serve a produrre il reddito. Significa costruire un
imponibile basato su un mondo immaginario, che non corrisponde alla
effettiva consistenza economica e, quindi, risulta fittizio. Non vi è alcun
fondamento logico che lo giustifichi. E’ evidente la disparità di
trattamento tra professionisti e imprenditori, questi ultimi condannati ad
andare a lavorare a piedi, ma sono individuabili anche profili di
irragionevolezza e di violazione del
principio di capacità contributiva.
Dove
ci porteranno le esigenze di gettito?
Il legislatore, come si diceva, è
intervenuto inasprendo la tassazione per riversare gli effetti della
sentenza della Corte di Giustizia Europea sugli stessi beneficiari: questa
motivazione dimostra, anche sotto questo profilo, che il legislatore non è
intervenuto per rendere aderente alla realtà economica la percentuale di
deduzione, cioè conforme ai dati di comune esperienza, ma lo ha fatto solo
per motivi di gettito. Senza, cioè, fare riferimento a situazioni reali.
Insomma non ha rimeditato la misura della deduzione per renderla più
confacente alla realtà, ma ha modificato la base imponibile semplicemente
decidendo di recuperare gettito, a parità di condizione economica del
soggetto destinatario delle disposizioni. Lo stesso soggetto, nelle stesse
condizioni e inciso dalla stessa imposta, si trova a sborsare una maggiore
imposta rispetto al passato, senza alcuna giustificazione. Si manifesta
l’irragionevolezza di una tassazione priva di alcun fondamento logico, di
alcuna aderenza a principi di determinazione dell’imponibile.
Considerazioni simili si possono fare
per le spese telefoniche.
Le
modifiche ai costi di telefonia
L’articolo 1, commi dal 401 al 403,
della legge Finanziaria n. 296/2006,
apporta delle modifiche alle disposizioni che disciplinano i redditi
d’impresa e di lavoro autonomo. Le
novità riguardano gli articoli 102 e 54 del Tuir, nella parte in cui
originariamente stabilivano la deducibilità limitata al 50% dei costi
relativi ai telefoni cellulari. L’innovazione introduce una nuova
percentuale dell'80% per la deduzione degli ammortamenti, dei canoni di
leasing e di noleggio, nonché delle spese di impiego e manutenzione,
relativi ad apparecchiature terminali per i servizi di comunicazione
elettronica a uso pubblico (articolo 1, comma 1, lettere gg, del Codice
delle comunicazioni, Dlgs 259/03).
La lettura di quest’ultima disposizione
rende chiaro l’obiettivo di assoggettare alla nuova disciplina fiscale anche le spese relative alla telefonia
fissa, perché comprende tutti i servizi di trasmissione di segnali su reti
di comunicazione elettronica, via cavo, via radio, a mezzo di fibre
ottiche, comprese le reti terrestri fisse e mobili, internet, ecc.
Qui, se si tolgono le esigenze di nuovo
gettito, sfugge completamente la ratio sulla nuova indeducibilità.
Si potrebbe pensare che il legislatore
abbia voluto regolamentare in questo nuovo modo tali spese per tener conto
del possibile uso personale del servizio. La novità sarebbe quindi stata
determinata dal fatto che una parte di questi costi potrebbe riguardare un
uso extralavorativo. Tuttavia, stabilire che il contribuente utilizzi il
telefono per uso personale nella misura del 20% è un arbitrio, non trova
riscontro in alcun dato di comune esperienza, potendo variare da soggetto a
soggetto. Ci può essere chi usa poco
il telefono per lavoro e molto per scopi diversi; ma ci può essere chi usa
il telefono solo per lavoro. Sarebbe più logico rifarsi alla percentuale
salomonica ma razionale del 50% stabilita da diverse disposizioni del Tuir,
in particolare dall’articolo 54, comma 3 e dall’art. 64, comma 2. In un’ottica di
semplificazione dei rapporti fisco-contribuente, al fine di prevenire
contenziosi sulla percentuale di uso effettivo, è stato originariamente
stabilito che la metà sia deducibile. Ma anche questa via si dimostra
irrazionale. Sostenere che il servizio di telefonia fissa si presta ad un
uso promiscuo è un modo per giustificare in modo strumentale la nuova
tassazione. Qualsiasi bene o servizio utilizzato dal contribuente, infatti,
può avere forme di utilizzo personali. Un computer portatile può essere
usato per scopi extra lavorativi, così come gli organizer palmari, la
cancelleria (prendo appunti personali), i servizi di trasporto (posso farmi
recapitare in ufficio o far recapitare dall’ufficio beni personali, posso
prendere un taxi per uso personale),
lo stesso ufficio può essere usato come luogo di incontro per scopi
non lavorativi.
Se ragioniamo così dobbiamo ritenere
che quasi tutte le spese sostenute nei luoghi di lavoro siano parzialmente
deducibili perché non utilizzate interamente per la produzione del reddito.
Infatti le norme sopra citate dice “adibiti”, non riferisce alla
potenzialità d’uso personale.
Insomma, non si scorgono, se non i
soliti motivi di puro gettito, ragioni giuridiche che giustifichino la
minore deducibilità del 20% delle spese di telefonia fissa.
Specie se si procede alla lettura dell’articolo
1, comma 401, ultimo periodo, della legge Finanziaria. Questa, dopo aver
introdotto la nuova misura di deduzione per la generalità dei contribuenti
professionisti e imprenditori, specifica: “La percentuale di cui al precedente periodo è elevata al 100 per
cento per gli oneri relativi a impianti di telefonia dei veicoli utilizzati
per il trasporto di merci da parte di imprese di autotrasporto
limitatamente a un solo impianto per ciascun veicolo”.
Non ci sarebbe da aggiungere altro,
tanto è evidente l’irragionevolezza; chi lavora in ufficio, imprenditore o
professionista o loro dipendenti, e utilizza il telefono fisso potrà dedursi solo l’80%, mentre chi
lavora nei veicoli e trasporta merci la deduzione è del 100%. Il luogo di
lavoro fa la differenza.
Non si scorge davvero alcuna ragione che possa
giustificare tale disparità.
La conclusione, anche qui, è che si è
allargata la base imponibile di alcuni soggetti senza considerare i
principi costituzionali.
…
e sui cellulari?
Si è cercato di dare una contropartita
innalzando i limiti di deduzione dei cellulari, dal 50% all’80%. Ma due
disposizioni illogiche non ne fanno una logica. Il cellulare è proprio quel
bene per il quale sembra più confacente la vecchia deduzione del 50% poichè
il cespite si presta a manovre “elusive” di utilizzo extra lavorativo.
Conclusioni
Le esigenze di cassa dello Stato devono
essere perseguite con mezzi diversi da quelli qui indicati, poiché contrari
a norme costituzionali. I criteri di ragionevolezza e di capacità
contributiva richiedono un supporto logico, l’aderenza alla realtà, la
sostenibilità, la comune esperienza.
Le spese devono essere deducibili
perché sono funzionali all’attività. L’eccezione è rappresentata dai beni
mobili che vengono continuamente portati fuori dal luogo di lavoro (es. il
telefonino, che “viaggia” sempre con il suo possessore, oppure le auto, che
sicuramente alla sera e nei week end possono essere utilizzate per fini
personali). Per questi appare logica la vecchia misura del 50%, idonea a
rilevare un uso promiscuo e a impedire, per motivi di semplicità e
certezza, un continuo confronto con la amministrazione finanziaria per
dimostrare le percentuali di effettivo utilizzo, vanificando la celerità
della riscossione, che deve essere garantita per le superiori esigenze di
funzionamento della macchina amministrativa.
Ecco perché non appare persuasiva
l’argomentazione sull’uso promiscuo della telefonia fissa.
Pur nella consapevolezza che la Corte Costituzionale
tende a giustificare praticamente ogni scelta dl legislatore,
attribuendogli discrezionalità assoluta a tutela della ragione fiscale, le
conclusioni qui raggiunte si accodano alla lunga lista di critiche a questo
tipo di disposizioni, che costruiscono redditi fittizi per niente aderenti
al reddito reale del contribuente. Appare evidente che non sono le
disposizioni a creare la capacità contributiva ma è questa che deve essere
correttamente rappresentata dalle norme, affinché ognuno possa concorrere
alle spese pubbliche in proporzione alla sua situazione economica
effettiva.
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