Da “Il Fisco” n. 41/2015
L’avviso di accertamento privo di delega alla sottoscrizione:
un caso di nullità “occultata”
Di
Alberto Buscema
AvvocatoTributarista e Dottore Commercialista in
Padova
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La Corte
costituzionale, con la nota sentenza del 17 marzo 2015, n. 37, ha
affrontato un tema che sembrava intoccabile per effetto del quale i
contribuenti stanno sottoponendo ai giudici la verifica della
sottoscrizione dei provvedimenti tributari. La rinnovata attenzione sulla
questione è l’occasione per chiarire una volta per tutte l’obbligatorietà
dell’allegazione della delega alla sottoscrizione. In questo articolo si
affronta la natura della delega e le disposizioni che ne imporrebbero
l’allegazione all’avviso di accertamento. Non si può, infatti, giustificare
la sua omessa allegazione, posto che l’art. 42 del D.P.R. n. 600/1973
sanziona con la nullità l’avviso di accertamento la cui delega non sia
conforme a legge, dimostrando che è necessaria la sua conoscenza per
sollevare l’eccezione ____________________________________________________________________
1.
Premessa
La sentenza della Corte costituzionale del 17 marzo 2015, n. 37 ha
dichiarato l’invalidità di tutte le nomine dirigenziali effettuate senza
aver esperito il regolare concorso.
Questa pronuncia produce importanti effetti sugli atti firmati dal
personale dell’Agenzia delle entrate incaricato di funzioni dirigenziali.
In particolare rileva ai fini della validità dell’avviso di
accertamento, così come disciplinato dall’art. 42 del D.P.R. n. 600/1973 (1).
È proprio il comma 1 di tale disposizione ad imporre che gli avvisi di accertamento siano “sottoscritti dal capo dell’Ufficio o da
altro impiegato della carriera direttiva da lui delegato”, sotto pena
di nullità, come precisa il
comma 3.
In seguito alla sentenza della Corte costituzionale, i giudici
tributari sono stati investiti delle eccezioni riguardanti gli avvisi di accertamento
sottoscritti da tali dirigenti e cominciano ad essere rese note le prime
sentenze che stanno perlopiù dichiarando l’inesistenza degli avvisi di accertamento ai sensi dell’art. 21-septies
della Legge n. 241/1990, stabilendo il difetto assoluto di attribuzione del
potere (2).
Sembra un ovvio epilogo della vicenda, ma non è così.
La sentenza della Corte costituzionale ha in realtà sorpreso tutti
risolvendo in questo ineccepibile modo un tema che pareva intoccabile,
tanto che il governo aveva reiterato più volte i Decreti legge che
protraevano l’assegnazione
“temporanea” di mansioni
dirigenziali.
Insomma sembrava che i poteri amministrativi non potessero essere
messi in discussione; invece ecco il risultato, ottenuto, tra l’altro, da
alcuni funzionari dell’Agenzia delle entrate che hanno promosso il
contenzioso innanzi al Tribunale amministrativo.
Le conseguenze sono importanti perché ora viene messa in discussione la validità degli atti sottoscritti
dai dirigenti decaduti; ma è stato garantito il rispetto della legge, come
è giusto che sia.
Dura lex
sed lex.
L’attenzione suscitata dalla vicenda e il tema particolarmente
interessante stanno spingendo gli studiosi ad indagare più
approfonditamente l’art. 42 del D.P.R. n. 600/1973 e definire, tra l’altro,
l’istituto della delega.
Questa è, quindi, l’occasione propizia per risolvere un altro tema
considerato intoccabile, che andrebbe affrontato con il medesimo rigore; in
particolare si deve definire se sia obbligatorio allegare la delega alla
sottoscrizione all’avviso di accertamento e ciò per avere la possibilità di
poter accertare i suoi eventuali vizi e di sottoporli al giudice
conoscendoli e non sollevandoli casualmente. È un tema trascurato che,
quando sollevato in giudizio, suscita spesso reazioni di disappunto e
liquidato quale pretestuoso. Merita invece una seria riflessione,
soprattutto considerando che le disposizioni normative stabiliscono la nullità dell’atto privo di valida
delega e, quindi, il legislatore ha ritenuto che il contribuente debba
essere massimamente tutelato contro tale vizio.
2. Delega di firma o di
funzione?
In un mio precedente scritto (3) pubblicato in questa Rivista,
sostenevo che l’art. 42, comma 1, del D.P.R. n. 600/1973 - nella parte in
cui stabilisce che in assenza della sottoscrizione del capo dell’Ufficio
è necessaria quella di un “altro impiegato alla carriera direttiva
da lui delegato” - si deve agganciare alle disposizioni del D.Lgs. n. 165/2001, e in particolare all’art. 17, comma
1-bis, rubricato “Delega di funzioni dei dirigenti” (4).
Ritenevo, quindi, che la delega richiamata dall’art. 42 del D.P.R.
n. 600/1973 fosse una delega di
funzioni.
L’Agenzia delle entrate, nella dottrina dei suoi funzionari e nei
suoi scritti difensivi innanzi ai giudici tributari, sostiene che si tratti
di una semplice delega di firma.
Questa tesi non ha mai convinto, tant’è che numerosi autori si sono
successivamente prodigati ad avallare l’inquadramento della delega
nell’ambito della suddetta delega di funzioni (5).
In particolare, per riassumere la posizione dei fautori di questa
tesi, è stato sostenuto che la delega in esame sia “una delega interna che non determina lo
spostamento della competenza rispetto all’organo originariamente dotato
della stessa”; inoltre “la delega non involge una mera attività materiale
ma l’esercizio di un’attività discrezionale e di una funzione” (6).
Pertanto la delega alla sottoscrizione non abilita il delegato a
firmare come fosse un “timbro con il nome del delegante” (7) ma contiene
una attribuzione a deliberare un provvedimento a rilevanza esterna:
perciò deve rispettare i requisiti di cui all’art. 17 del D.Lgs. 30 marzo 2001, n. 165.
Quindi secondo queste conclusioni, e in base all’interpretazione
sistematica, l’art. 42, comma 1, del D.P.R. n. 600/1973, si riferisce
all’art. 17, comma 1-bis, del D.Lgs. n.
165/2001; si dimostra così che è giuridicamente possibile solo una delega
di funzioni (8).
In questo senso si è espressa una recente sentenza della
Commissione tributaria provinciale di Benevento, n. 931/07/2014,
pronunciata il 23 giugno 2014 e depositata il 22 luglio 2014, che,
decidendo sulla validità di un avviso di accertamento, ha fornito una
interessante ricostruzione dell’istituto.
Essa ha affermato che la delega prodotta dall’Agenzia delle entrate
“attribuisce al funzionario delegato la funzione relativa alla emissione di
un atto decisorio (provvedimento) con rilevanza esterna (avviso di
accertamento) a parte la prodromica attività di accertamento. Trattasi
quindi di una delega di funzioni che trova il suo esclusivo fondamento
negli artt. 17 co. 1-bis e 16 co. 1 lett.
D D.Lvo 30.3.01 n. 165 in materia di dipendenti
pubblici che è l’unica norma che disciplina la delega nell’ambito della
P.A. Inoltre la delega esibita parla effettivamente di ‘delega di firma’,
ma tale figura giuridica è del tutto estranea al nostro ordinamento
giuridico, non fondandosi su alcuna norma ed essendo inammissibile una
‘delega di firma’ disgiunta dalla correlativa delega di funzioni con
attribuzione delle relative responsabilità, come si evince chiaramente
dalle disposizioni degli artt. 28 e 97 co. 2 e 3 della Costituzione
relativamente alla responsabilità dei funzionari e dei dipendenti pubblici
per gli atti compiuti e in tema di organizzazione degli Uffici con relativa
riserva di legge”.
Valorizzando le argomentazioni della dottrina sopra esposte e le
condivisibili interpretazioni della Commissione tributaria provinciale di
Benevento, si deve concludere che la delega di firma non esiste nel nostro
ordinamento, non essendovi alcuna norma che dispone in tal senso e nemmeno
essendo possibile attribuire una delega senza le correlative funzioni e
responsabilità (9).
3.
La nullità dell’atto impositivo per
illegittimità della delega
La delega alla
sottoscrizione è, quindi, un atto che attribuisce il potere di
deliberare un provvedimento decisorio a valenza esterna; come tale deve
possedere i requisiti stabiliti dall’art. 17, comma 1-bis, del D.Lgs. n. 165/2001.
In particolare dalla lettura della disposizione emerge che devono
sussistere:
- le specifiche e comprovate
ragioni di servizio;
- un periodo di tempo
determinato;
- l’atto scritto e motivato.
Vi sono ulteriori requisiti, oltre a quelli sopra esposti, che
devono essere verificati dal contribuente destinatario dell’avviso di accertamento.
Infatti, l’analisi delle deleghe (10) ordinariamente prodotte in giudizio
dimostra che il potere di sottoscrizione viene attribuito a più soggetti,
ovvero risulta che solo uno dei soggetti indicati può emettere l’avviso di
accertamento se l’imponibile da recuperare rientra nella fascia di
valori a lui attribuita (11).
Può accadere che un avviso di accertamento, avente ad oggetto il
recupero di una certa somma per cui la delega ha attribuito il potere di
emissione del provvedimento ad un funzionario, sia stato sottoscritto da un
altro funzionario munito anch’egli di delega ma per una fascia di importi
superiori o inferiori rispetto a quelli effettivamente accertati (12).
Oppure che la delega sia rilasciata ad un soggetto che non riveste
la qualifica di impiegato alla carriera direttiva.
Tutti gli elencati vizi comportano la nullità dell’avviso di
accertamento, per violazione dell’art. 42, comma 1, del D.P.R. n. 600/1973
e dimostrano la necessità di
visionare la delega contestualmente al ricevimento dell’avviso di
accertamento, per poter sollevare le contestazioni innanzi al giudice
tributario.
3.1.Mancata allegazione all’atto impositivo:la
prassi dell’Agenzia delle entrate
Elencati i requisiti e la natura della delega, ci si deve ora
interrogare sulla prassi corrente dell’Agenzia delle entrate di ometterne
l’allegazione all’atto impositivo.
A stretto rigore l’Agenzia delle entrate applica la disposizione
alla lettera, perché la lettura dell’art. 42 del D.P.R. n. 600/1973
dimostra che non emerge alcun esplicito obbligo di allegazione della delega
all’atto impositivo.
Tuttavia si deve rammentare che la stessa disposizione stabilisce
la nullità dell’atto “se non reca la sottoscrizione ... di cui al presente
articolo”.
È ovvio che la verifica dei requisiti di legge debba essere resa
possibile immediatamente, come accade per tutti gli altri vizi (13).
Non mi sembra sia mai stata fatta una seria riflessione sul fatto
che la disposizione citata tratta di una nullità, patologia al vertice dei
vizi dei provvedimenti amministrativi, e come tale non ha senso impedire di
verificare il corretto esercizio del potere al momento del ricevimento
dell’avviso di accertamento, ante causam,
e consentirla invece solo a processo avviato.
Se non si consente l’immediata verifica
della delega si impedisce di esercitare compiutamente il proprio diritto di difesa: è, insomma,
inutile stabilire una sanzione gravissima quale la nullità del
provvedimento e poi non consentire al contribuente di poterla verificare, tenendo
“nascosta” la delega.
In questo modo sarebbero rese inutili tutte le disposizioni sulla
rappresentanza esterna dell’Agenzia delle entrate, perché, nei fatti,
risulterebbe non verificabile il “passaggio” del potere ad altro soggetto,
contenuto in un atto interno all’Ufficio.
E poi non è un adempimento gravoso per l’Ufficio; se può produrre
agevolmente in giudizio la delega può farlo anche prima. Pare sia doveroso,
rispettoso del principio di buona fede stabilito dall’art. 10, Statuto del
Contribuente.
Invece la diversa interpretazione della disposizione, quella che
ritiene non obbligatoria l’allegazione della delega, si scontrerebbe con
l’immanente principio costituzionale che garantisce il diritto di difesa,
non esercitabile nell’ignoranza dell’atto; ed emergerebbe altresì
l’irragionevolezza della disposizione, nella parte in cui stabilisce una
nullità non verificabile senza visione della delega.
3.2. La posizione della
giurisprudenza
La giurisprudenza di vertice è, invece, dell’idea che la delega possa essere legittimamente visionata in sede processuale.
Il consolidato orientamento della Corte di cassazione, è stato
recentemente ribadito dalla sentenza 5 settembre 2014, n. 18758:
“L’avviso di accertamento è nullo, ai sensi del D.P.R. 29 settembre
1973, n. 600, art. 42, se non reca la sottoscrizione del capo dell’Ufficio
o di altro impiegato della carriera direttiva da lui delegato. Se la
sottoscrizione non è quella del capo dell’Ufficio titolare ma di un
funzionario, quale il direttore tributario, di nona qualifica funzionale,
incombe all’Amministrazione dimostrare, in caso di contestazione, il
corretto esercizio del potere sostitutivo da parte del sottoscrittore o la
presenza della delega del titolare dell’Ufficio, poiché il solo possesso
della qualifica non abilita il direttore tributario alla sottoscrizione,
dovendo il potere di organizzazione essere in concreto riferibile al capo
dell’Ufficio”.
È ancora più drastica la seguente decisione della Cassazione,
sentenza 10 luglio 2013, n. 17044:
“In base alla norma, quindi, l’atto impositivo può essere
sottoscritto anche da ‘impiegato della carriera direttiva … delegato’ dal
‘capo dell’Ufficio’ (il quale, per Cass., trib., 10 agosto 2010 n. 18515, non deve affatto
‘rivestire la qualifica dirigenziale’), con il conseguente corollario per
il quale, in carenza di qualsivoglia specificazione normativa, deve
ritenersi sufficiente l’esistenza, in fatto (cfr. Cass.,
trib., 20 giugno 2011, n. 13512, che richiama il
principio secondo cui ‘l’atto amministrativo esiste come tale allorché i
dati emergenti dal procedimento amministrativo consentano comunque di
ritenerne la sicura provenienza dall’Amministrazione e la sua attribuibilità a chi deve esserne l’autore secondo le
norme positive’), della delega (anche a carattere generale) e non
necessaria né la menzione della stessa nell’atto né, tanto meno, la
specificazione che il delegato appartiene alla ‘carriera direttiva’:
ovviamente ‘in caso di contestazione … incombe all’Amministrazione provare
l’esercizio del potere sostitutivo o la presenza della delega’ (Cass., trib., 10 novembre
2000 n. 14626)”.
Quindi, secondo questa consolidata giurisprudenza della Corte di
cassazione, è necessaria solo la prova dell’esistenza della delega,
addirittura non sarebbe necessaria la sua menzione nell’avviso di
accertamento e, per accedere alla verifica
della sottoscrizione, si deve proporre il ricorso alla Commissione
tributaria provinciale sollevando il
vizio di sottoscrizione, inducendo l’Amministrazione finanziaria a
dimostrare la legittimità dell’atto solo per questa via.
Tuttavia per ottenere una pronuncia di nullità si deve avere contezza del vizio, il
contribuente deve avere la possibilità di verificare la conformità
dell’atto alla legge; ma ciò significa avere la possibilità di visionare la
delega, altrimenti nulla si può ragionevolmente e fondatamente contestare.
In altre parole, non si può contestare una nullità senza avere la
possibilità di conoscerla, altrimenti ci troveremmo di fronte ad un nuovo
regime delle nullità: quelle … a sorpresa!
Questa impostazione non può essere condivisa e si deve evitare la
possibilità di celare i vizi della delega consentendo solamente di
sollevare la nullità in maniera casuale, senza aver alcuna contezza dei
vizi della delega e quindi degli effetti di tale contestazione.
Non è possibile che il ricorrente possa assennatamente sollevare
tale contestazione solo in presenza di altri vizi dell’atto, aggiungendola
agli altri, mai sollevandola da sola; altrimenti rischia di essere smentito
dall’Ufficio in corso di causa, con l’effetto finale di subire anche la
condanna alle spese processuali.
3.3. Le norme a favore
della necessaria allegazione
Se una simile interpretazione è irragionevole, perché ha l’effetto
di danneggiare il contribuente o comunque di scoraggiarlo a proporre simili
contestazioni, si devono elencare le disposizioni che sorreggono
l’interpretazione a favore della necessaria allegazione della delega.
Innanzitutto si deve ribadire che è già l’art. 42 del D.P.R. n.
600/1973, nella parte in cui sanziona con la nullità l’avviso di
accertamento la cui delega non sia conforme a legge, a dimostrare che è
necessaria la sua conoscenza per sollevarne il vizio.
La sanzione della nullità è posta a garanzia del contribuente,
cosicché egli possa essere tutelato nel caso in cui l’atto sia stato emesso
da un soggetto, diverso dal direttore, che non rappresenta validamente
l’Agenzia delle entrate; resta una norma vuota se il contribuente non può
verificare i requisiti della delega.
Una diversa interpretazione non è possibile, perché il legislatore
non può emanare norme inutili, tantomeno quelle sulla nullità degli atti,
essendo disposizioni che, prevedendo la massima sanzione, devono essere ben
ponderate e bilanciare gli interessi in gioco.
A sostegno dell’obbligo di allegazione della delega depone anche
l’art. 6 dello Statuto del Contribuente, che ha introdotto un grande
principio di civiltà giuridica stabilendo che “L’Amministrazione
finanziaria deve assicurare l’effettiva
conoscenza da parte del contribuente degli atti a lui destinati”.
L’avviso di accertamento è “integrato” dalla delega, perché solo la
sua analisi permette di controllarne i requisiti
di legittimità (i.e. la sottoscrizione) (14): non è, quindi, un
atto completo in assenza della delega e questa, come l’avviso di
accertamento, è un atto destinato al contribuente.
Diversamente non si avrebbe l’effettiva conoscenza dell’avviso di
accertamento, ma solo di una sua parte. Tant’è che l’art. 42 del D.P.R. n. 600/1973
stabilisce che “l’accertamento è nullo se l’avviso non reca la
sottoscrizione … di cui al presente articolo”. La sottoscrizione fa parte
dell’avviso di accertamento.
Provocatoriamente si osservi che l’art. 18, comma 2, lett. e), nonché comma 4, del D.Lgs.
n. 546/1992, dispone che nel ricorso devono essere specificamente elencati
i motivi di impugnazione, a pena di inammissibilità.
L’omessa allegazione della delega impedisce la verifica della nullità e quindi non consente di motivare
alcunché sul punto (15).
Di più: se non si può rilevare alcunché, perché la delega non è
allegata, non si può nemmeno fare una domanda - ex art. 112 c.p.c. - con cognizione di ciò che si chiede al
giudice, a meno che non si presenti “al buio” la domanda di nullità dell’atto
perché privo di sottoscrizione, obbligando l’Ufficio a dimostrare il potere
delegato nel corso del processo.
È ciò che si tollera attualmente ma non sembra cogliere l’essenza
della disposizione.
3.4. Eccezione di nullità
nel primo grado di giudizio
L’allegazione dovrebbe essere garantita anche considerando che la
nullità per violazione dell’art. 42 del D.P.R. n. 600/1973, può essere
eccepita solo in primo grado e mai successivamente.
Così stabilisce l’art. 61 del D.P.R. n. 600/1973: “la nullità
dell’accertamento ai sensi del terzo comma dell’art. 42 … deve essere
eccepita a pena di decadenza in primo grado”.
Quindi, se non si può eccepire tale nullità successivamente al
primo grado, il momento principale,
quello evidentemente rilevante, è la notifica
dell’avviso di accertamento.
Da lì decorrono i sessanta
giorni per l’impugnazione dell’atto e la formulazione delle domande al
giudice, ai sensi dell’art. 21 del D.Lgs. n.
546/1992.
Il termine di sessanta giorni, imposto a pena di inammissibilità
del ricorso, è stato stabilito al fine di consentire al contribuente un
ragionevole lasso di tempo per predisporre la sua adeguata difesa avverso
l’atto impositivo; ma anche per porre un limite temporale invalicabile,
affinché non si debba protrarre indefinitamente l’esercizio del diritto di
difesa. La omessa allegazione della delega, a comprova dei poteri di
sottoscrizione, viola il diritto di difesa del contribuente, che, non
potendo controllare l’esistenza o comunque la validità della delega, si
trova a doverla ricercare presso l’Agenzia delle entrate, perdendo così
parte (se non quasi tutti, considerati i tempi di risposta all’accesso agli
atti amministrativi, stabilito dall’art. 22 della Legge n. 241/1990) dei
sessanta giorni a disposizione per approntare la propria difesa.
In un ambito contiguo, il tema della motivazione per relationem, la Suprema Corte di cassazione, con
sentenza n. 1905 del 30 gennaio 2007, ha stabilito che la compressione dei termini di difesa comporta
la nullità dell’atto.
Più precisamente ha affermato che “non è sufficiente il riferimento
ad atti dei quali il contribuente possa semplicemente ‘procurarsi la
conoscenza’, poiché ciò comporterebbe una, più o meno, accentuata e non
giustificata riduzione del lasso di tempo a lui concesso per valutare la
fondatezza dell’atto impositivo, con indebita menomazione del diritto di
difesa (tra le altre, cfr. Cass. n. 15234 del
2001, n. 10817 del 2002, n. 4430 del 2003 e, da ultimo, n. 15842 del
2006)”.
È vero che questa decisione riguarda l’art. 7 della Legge n.
212/2000, che stabilisce positivamente l’obbligo di allegazione degli atti richiamati in motivazione; ma
il richiamo della giurisprudenza di vertice al tempo concesso per valutare
la fondatezza dell’atto impositivo (rectius:
alla legittimità) ritengo possa essere applicato anche alla delega.
L’art. 7 dello Statuto del Contribuente dispone che “Gli atti
dell’Amministrazione finanziaria sono motivati secondo quanto prescritto
dall’articolo 3 della Legge 7 agosto 1990, n. 241, concernente la
motivazione dei provvedimenti amministrativi, indicando i presupposti di
fatto e le ragioni giuridiche che hanno determinato la decisione
dell’Amministrazione. Se nella motivazione si fa riferimento ad un altro
atto, questo deve essere allegato all’atto che lo richiama”.
Non ha senso che la citata disposizione stabilisca la nullità
dell’atto privo di alcuni requisiti
essenziali - cioè i presupposti di fatto e di diritto che costituiscono
la sua motivazione - ma non ci sia un’analoga disposizione per l’altro
requisito essenziale dell’atto che è la sottoscrizione.
Eppure l’art. 42 del D.P.R. n. 600/1973 accomuna tali elementi
essenziali, stabilendo che sia l’omessa motivazione che l’omessa
sottoscrizione conducono alla nullità dell’avviso di accertamento.
Emerge una “disparità di
trattamento delle nullità”: alcune evincibili immediatamente altre
occultate.
Tornando all’art. 61 del D.P.R. n. 600/1973, che dispone l’obbligo
di eccepire la nullità dell’avviso di accertamento in primo grado a pena di
decadenza, è altresì singolare constatare che alcune sentenze ritengono che
l’Agenzia delle entrate possa depositare la delega addirittura in secondo
grado, in violazione delle disposizioni che impediscono la produzione di
nuove prove nel grado di appello (16).
Qui ci si trova innanzi ad una strana interpretazione, sfavorevole
anch’essa al contribuente.
Al ricorrente si impone di rilevare la nullità senza alcuna
cognizione di causa - non essendo stata notificata la delega in allegato
all’avviso di accertamento - costringendolo alla strettoia della
formulazione dei motivi di nullità entro i sessanta giorni; invece
all’Ufficio viene consentito di provvedere addirittura in grado di appello.
Questa interpretazione permette che il contribuente si oneri
inutilmente del primo grado di giudizio potendo l’Agenzia delle entrate
provvedere tranquillamente a produrre la delega in secondo grado.
Insomma: il contribuente deve essere tempestivo ma non informato;
l’Ufficio può essere tardivo e limitare i gradi di tutela del contribuente,
che passano da tre (primo grado, appello e cassazione) a due (appello e
cassazione). Alla fine di un tale contenzioso, se si è sollevato solo il
vizio di sottoscrizione, si può essere condannati alle spese dei tre gradi
di giudizio (oltre alle spese di difesa sostenute).
L’analisi sopra condotta dimostra che le disposizioni attuali ben
possono consentire all’interprete di ritenere obbligatoria l’allegazione della delega all’atto della notifica
dell’avviso di accertamento; sono disposizioni che convergono verso lo
stesso risultato.
4. Conclusioni
È evidente che uno Stato di diritto non può e non deve consentire
che si possa eccepire una nullità “al buio”, senza poter esaminare la
delega, perché verrebbe negato un diritto che dovrebbe essere addirittura
garantito dalla sanzione della nullità.
Non è pensabile che l’attività difensiva, in assenza di allegazione
della delega, costringa alla contestazione a tappeto di ogni avviso di
accertamento ricevuto dai propri clienti (17), oltretutto con il rischio di
far sopportare ai ricorrenti la condanna alle spese di giudizio.
Pertanto, se si ritiene che le disposizioni sopra citate non siano
sufficienti a sostenere e garantire l’allegazione della delega all’avviso
di accertamento, ricorrendo anche alla interpretazione adeguatrice
alle norme costituzionali sul diritto di difesa e ragionevolezza, si dovrà
necessariamente sollevare la questione di illegittimità costituzionale dell’art. 42 del D.P.R. 600/1973,
nella parte in cui non dispone l’obbligo di allegare la delega (18).
In pratica si solleciterà il giudice delle leggi ad emettere una
sentenza additiva così colmando la lacuna normativa.
Forse in questo modo la questione potrà essere definitivamente
risolta.
[1] Art. 42 del D.P.R. n. 600/1973:
“Gli accertamenti in rettifica e gli
accertamenti d’ufficio sono portati a conoscenza dei contribuenti mediante
la notificazione di avvisi sottoscritti dal capo dell’Ufficio o da altro
impiegato della carriera direttiva da lui delegato.
L’avviso di accertamento deve recare
l’indicazione dell’imponibile o degli imponibili accertati, delle aliquote
applicate e delle imposte liquidate, al lordo e al netto delle detrazioni,
delle ritenute di acconto e dei crediti d’imposta, e deve essere motivato
in relazione ai presupposti di fatto e le ragioni giuridiche che lo hanno
determinato e in relazione a quanto stabilito dalle disposizioni di cui ai
precedenti articoli che sono state applicate, con distinto riferimento ai
singoli redditi delle varie categorie e con la specifica indicazione dei
fatti e delle circostanze che giustificano il ricorso a metodi induttivi o
sintetici e delle ragioni del mancato riconoscimento di deduzioni e
detrazioni. Se la motivazione fa riferimento ad un altro atto non
conosciuto né ricevuto dal contribuente, questo deve essere allegato
all’atto che lo richiama salvo che quest’ultimo non ne riproduca il
contenuto essenziale.
L’accertamento è nullo se l’avviso
non reca la sottoscrizione, le indicazioni, la motivazione di cui al
presente articolo e ad esso non è allegata la documentazione di cui
all’ultimo periodo del secondo comma”.
2
Il riferimento alle disposizioni della Legge n. 241/1990 non mi pare
pertinente; e così la conclusione sull’inesistenza del provvedimento.
Infatti l’art. 42, del D.P.R. n. 600/1973, è esaustivo nello stabilire la
nullità dell’avviso di accertamento (disposizione specifica) e non vi è
alcun motivo di ricorrere alle disposizioni generali in materia di
procedimento amministrativo. La conseguenza di una tale errata impostazione
è di consentire l’annullamento del provvedimento anche se il vizio non è
stato sollevato con specifico motivo di ricorso in primo grado. Questa
conclusione è impedita dall’art. 61, comma 2, del D.P.R. 600/1973, che così
stabilisce: “nullità dell’accertamento
ai sensi del terzo comma dell’art. 42 … deve essere eccepita a pena di
decadenza in primo grado”.
3
Cfr. A. Buscema, “La delega alla sottoscrizione dell’avviso di accertamento nelle
imposte sui redditi. Verifichiamone la validità”, in il fisco, n. 21/2003, pag. 3299.
4 Art. 17, comma 1-bis, del D.Lgs. n. 165/2001: “I dirigenti, per specifiche e comprovate
ragioni di servizio, possono delegare per un periodo di tempo determinato,
con atto scritto e motivato, alcune delle competenze comprese nelle
funzioni di cui alle lettere b), d) ed e) del comma 1 a dipendenti che
ricoprano le posizioni funzionali più elevate nell’ambito degli Uffici ad
essi affidati. Non si applica in ogni caso l’articolo 2103 del codice
civile”.
5
Tra questi, i più recenti interventi sono di M. Pastorino, “La sottoscrizione dell’avviso di
accertamento”, in Dir. prat. trib., 2013, pag.
990; G. Infranca, “Incarichi
dirigenziali illegittimi e validità degli atti impositivi”, in Dialoghi Tributari, 2015, pag. 35.
6
In questo senso M. Pastorino, .
cit.
7
Simpatica espressione di F. Franchini, “In
tema di delega di firma”, in Foro
amm., 1956, I, 1, pag. 210, indicata dallo
stesso M. Pastorino, . cit. Lascia intendere che il delegato non esprime
nell’atto la sua volontà, espressa dal delegante, ma è un mero esecutore
della sottoscrizione.
8
La delega si potrebbe definire anche “di firma” senza spostare le
conclusioni raggiunte. Nel senso che non è il nome attribuito alla delega
che conta ma rileva il fatto che non esiste delega alla sottoscrizione
priva del potere di svolgere la funzione (delegata).
9
In questo senso va anche la novella disposizione di legge, contenuta
nell’art. 4-bis, comma 2, del
D.L. n. 78/2015, che così stabilisce:
“2. In relazione all’esigenza
di garantire il buon andamento e la continuità dell’azione amministrativa,
i dirigenti delle Agenzie fiscali, per esigenze di funzionalità operativa,
possono delegare, previa procedura selettiva con criteri oggettivi e
trasparenti, a funzionari della terza area, con un’esperienza professionale
di almeno cinque anni nell’area stessa, in numero non superiore a quello
dei posti oggetto delle procedure concorsuali indette ai sensi del comma 1
e di quelle già bandite e non annullate alla data di entrata in vigore
della legge di conversione del presente Decreto, le funzioni relative agli
Uffici di cui hanno assunto la direzione interinale e i connessi poteri di
adozione di atti, escluse le attribuzioni riservate ad essi per legge,
tenendo conto della specificità della preparazione, dell’esperienza
professionale e delle capacità richieste a seconda delle diverse tipologie
di compiti, nonché della complessità gestionale e della rilevanza
funzionale e organizzativa degli Uffici interessati, per una durata non eccedente
l’espletamento dei concorsi di cui al comma 1 e, comunque, non oltre il 31
dicembre 2016. A fronte delle responsabilità gestionali connesse
all’esercizio delle deleghe affidate ai sensi del presente comma, ai
funzionari delegati sono attribuite, temporaneamente e al solo scopo di
fronteggiare l’eccezionalità della situazione in essere, nuove posizioni
organizzative ai sensi dell’articolo 23-quinquies, comma 1, lettera a),
numero 2), del Decreto-legge 6 luglio 2012, n. 95, convertito, con modificazioni,
dalla Legge 7 agosto 2012, n. 135”.
[1]0 Tipicamente ritenuta dall’Agenzia delle
entrate coincidente con l’“Ordine di servizio”; ma la recente
giurisprudenza ha messo in discussione che tale atto possa considerarsi una
delega, perché solo quest’ultima ha rilevanza esterna (cfr. Comm. trib. prov. di Frosinone,
Sez. III, sentenza 7 gennaio 2015, n. 12).
[1]1
Solitamente la delega identifica più soggetti ai quali attribuire, a
scaglioni, il potere di emettere l’avviso di accertamento. Per es. Capo
Area per volume d’affari fino a tot,
Capo Team per volumi d’affari per
tot+1 e Capo Ufficio Controlli
per volume d’affari per tot+2.
Spesso la ripartizione per valore si riferisce anche alle cifre
dell’imponibile.
[1]2 Secondo M. Pastorino, op. cit., tale
violazione di limiti configurerebbe un vizio dell’atto, per eccesso di
potere. A mio modo di vedere si tratta invece di violazione diretta
dell’art. 42, del D.P.R. n. 600/1973, perché non sussiste il potere di
sottoscrivere, posto che la delega è valida solo per gli importi ivi
indicati. Gli importi superiori o inferiori non sono coperti dalla delega e
quindi, per tali cifre, è come se non esistesse.
[1]3 Si pensi all’art. 16, comma 2, del D.Lgs. n. 472/1997, in cui si stabilisce che l’atto di
irrogazione delle sanzioni deve contenere, a pena di nullità, i fatti
attribuiti al trasgressore, gli elementi probatori, le norme applicate, i
criteri di determinazione delle sanzioni ecc. Oppure all’art. 7 dello
Statuto del Contribuente, che stabilisce la nullità dell’atto privo di
motivazione. Tutti gli elementi sopra citati devono essere rilevabili con
immediatezza, all’atto della notifica del provvedimento sanzionatorio o
impositivo.
[1]4 Questo ragionamento vale sia se si
ritiene che la delega sia “di firma”, come sostiene l’Agenzia delle entrate
- ma qui si è confutato - sia “di funzione”, perché solo l’esistenza del
documento e la sussistenza dei requisiti di legge può consentire la sua
validità; e questa deve essere, come detto, verificabile subito.
[1]5 Si può semplicemente contestare il
vizio di sottoscrizione perché manca la delega. Se poi, come già detto- ma è bene ribadire, - l’Ufficio
la produce, si viene condannati alle spese
(!). Sostenere che il motivo di impugnazione è comunque formulabile, ma
senza avere la benché minima idea dell’esito della contestazione, è
(nuovamente) una grave lesione del diritto di difesa.
[1]6 Cfr. Cass.,
sentenza 14 giugno 2013, n. 14942 che richiama la sentenza n. 26392/2010.
[1]7 Alcune sentenze dimostrano che le
deleghe a volte non esistono, Cass., sentenza 14
giugno 2013, n. 14942.
[1]8 La questione di legittimità
costituzionale della disposizione si dovrà sollevare per contrasto con il
principio di ragionevolezza, art. 3, e con il diritto di difesa, art. 24
della Costituzione.
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